Dal mese di luglio 1817 sino alla fine del 1818, Giacomo Leopardi, a causa di seri problemi di salute, dovette sospendere gli studi. Continuò a dilettarsi nelle letture dei classici e soprattutto esercitandosi nel rincorrere le immaginazioni fantasiose, che traeva da siffatte letture. A poco a poco, sentì nascere in sé un gentile affetto per Teresa Fattorini, l’immortale Silvia, figlia del cocchiere di casa Leopardi, che morì di tisi nel 1818. Spiegò Carlo Leopardi a Prospero Viani:
Carlo Leopardi (1799 - 1878) |
Unico sollievo a quella vita di noia mortale, fu la visita di Pietro Giordani nei primi giorni del settembre ’18, ospitato in casa da Monaldo.
Monaldo Leopardi (1776 - 1847) |
«Ho ben anch’io memoria la sua visita, e le lunghe passeggiate fatte insieme, e il conversare di quest’uomo eloquentissimo».
Pietro Giordani (1774 - 1848) |
«Oh nobilissima e fortissima anima! Così e non altrimenti vorrei la lirica»; e due giorni appresso: «avendo mostrato quella poesia a diversi, ed intelligenti, e non facili a lodare, ella è stata esaltata con tante e tante lodi, e voi ammirato con tanta venerazione che a Dante non si potrebbe di più. A fare un gran romore per tutta Italia bastano queste due miracolose canzoni. Le vostre canzoni girano per questa città come fuoco elettrico; tutti le vogliono, tutti ne sono invasati. Non ho mai (mai, mai) veduto né poesia né prosa, né cosa alcuna d’ingegno tanto ammirata ed esaltata».
L’entusiasmo del Giordani riaccesero in Giacomo il desiderio di uscire da Recanati, visitare le grandi città italiane, conoscere e dialogare con uomini di cultura. Per soddisfare questo suo desiderio, Giordani ne parlò all'amico Giulio
Giulio Perticari (1779 - 1822) |
Il Giordani insistette, rispondendo, colla proposta del Perticari:
«Credo impossibile che usciate mai di Recanati, se non per l’Accademia ecclesiastica di Roma; la quale mi sembra la cosa la meno impossibile di persuadere a vostro padre. A questo porrei ogni cura; se pure è al mondo alcuno che possa con ragioni e con preghi ottenere qualche cosa da vostro padre».
Giacomo era certo della risolutezza di Monaldo:
«Io mai e poi mai non uscirò da Recanati altro che mendicando, prima della morte di mio padre, la quale io non desidero avanti la mia. Questo abbiatelo per indubitato quanto l’amore ch’io vi porto, che né la vostra eloquenza, né di Pericle, né di Demostene, di Cicerone, di qualunque massimo oratore, né della stessa persuasione non rimoverebbe mio padre dal suo proposito. E l’Accademia Ecclesiastica, ricercando maggiore spesa che a me non bisognerebbe in altro luogo è, se nel superlativo si dà il comparativo, il partito più disperato; mentre quello stesso ch’io domando, che non è di vivere da signore, né comodamente, né senza disagio, ma soltanto fuori di qui, non è pure immaginabile di ottenerlo».
Di fronte alla necessità di riposare, due sentimenti albergavano nella sua grande anima: l’intollerabile prigionia e il sogno della liberazione; nel mese di maggio scriveva al Giordani: «Vivo sempre mezzo disperato»; il mese appresso:
«Da marzo in qua mi perseguita un’ostinatissima debolezza de’ nervi oculari, che m’impedisce non solamente ogni lettura, ma anche ogni contenzione di mente. Nel resto, mi trovo bene del corpo e dell’animo, ardentissimo e disperato quanto mai fossi, in maniera che ne mangerei questa carta dov’io scrivo. Farò mai niente di grande? Né anche adesso che mi vo sbattendo per questa gabbia come un orso? In questo paese di frati, dico proprio questo particolarmente, e in questa maledetta casa, dove pagherebbero un tesoro, perché mi facessi frate ancor io, dove volere o non volere a tutti i patti mi fanno viver da frate, e in età di 21 anni e con questo cuore che io mi trovo, fatevi certo che in brevissimo io scoppierò, se di frate non mi converto in apostolo, e non fuggo di qua mendicando, come la cosa finirà certissimamente».
Leopardi cercò così di scappare dalla casa paterna, ricorrendo ad un amico di famiglia, il conte Saverio Broglio D’Ajani; sottrasse dei soldi dallo scrigno paterno, ma fu scoperto da Monaldo, il quale si fece spedire il passaporto per Milano e lo mostrò al figlio, dicendogli che poteva farne l’uso che credeva. Così la fuga sfumò.
Al di là del giudizio morale sulla decisione del figlio minorenne, Monaldo si dimostrò completamente sordo alle disperate richieste di Giacomo, al quale impedì di conoscere le vie del mondo, non sottraendolo alla dura quotidianità recanatense. La colpa di quella pazza decisione cadde sul povero Giordani, anche se abbiamo nota che costui condannò duramente l’atto dell’amico, al quale scrisse il 1 novembre del 1819 in merito:
«Reputo gran ventura che sia stato disturbato il tuo doloroso disegno. Non ti biasimo che tu l'abbi avuto in mente: ma reputo bene, o assai minor male, non averlo potuto eseguire. Non credere, o mio caro, che io non intenda la tua dolorosa situazione: figurati che io ho provato altrettanto e forse peggio: peggio in salute, peggio in schiavitù domestica, peggio in spasimo dell'animo. Ma facciamo un po' i conti spassionatamente: vedrai che andavi a peggiorare.
Ti manca una conoscenza materiale del mondo: ti manca il modo di farti meglio conoscere. Ma in sì pochi anni sei già conosciuto non poco; e quel che più vale, hai d'ingegno e di sapere quel che in tutta Italia hanno ben pochissimi. Hai i comodi della vita corporale; cosa importantissima ad una complessione cosi delicata: hai sufficienti mezzi per occupare il tuo intelletto: e la speranza della gloria non ti è poi tolta: perché vedi quanto ti resta a vivere: e il tempo suoi portare seco non pochi favori. All’incontro, come esporti così all’azzardo? con una complessione delicata? senza un fine certo? senza mezzi sicuri? in un mondo in un secolo il più egoista che mai fosse. In chi sperare, e che? Io capisco tutto quel che devi soffrire in casa: ma per mia propria esperienza ne ho la misura. All'incontro mi spaventa l'indefinito de' mali a cui andresti incontro uscendo così alla disperata. La tua condizione non è felice: ma uno sforzo di filosofia la può sopportare. Figurati d'essere un carcerato: ma ariosa prigione e salubre; buon letto, buona tavola, assai libri: oh Dio; ciò è ancora meno male che non saper dove mangiare, né dove dormire. Chi sa; forse un qualche giorno tuo padre si piegherà: se io sapessi qual santo potesse fare questo miracolo, certamente lo invocherei. Ma frattanto invoco la tua pazienza, la tua prudenza. Cura la salute: questo è il capo principale.
Seguita tranquillamente i tuoi studi: non dubitare che un qualche dì salterai fuori con qualche lavoro che ti farà conoscere da tutti per quel vero miracolo che già sei. Ottieni da te stesso di poter sopportare il male, e ti si farà men crudele. Un rimedio violento, credimi, noi guarirebbe. Credilo a me; che ho esperienza di queste miserie. Addio amatissimo Giacomino».
Giacomo ne scrisse al conte Broglio, discolpando Giordani ed accendendosi nella responsabilità. Incolpò il padre di non voler o poter capire i bisogni di un’anima così grandi e nobili.
Prese nuovamente la penna ed il 19 novembre scrisse al Giordani:
«Sono così stordito dal niente che mi circonda, che non so come abbia forza di prendere la penna per rispondere alla tua del primo. Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere, né piangere, né movermi, altro che per forza, dal luogo dove mi trovassi. Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte; non perch’io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor gravissimo, e sono così spaventato della vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell’animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazione».
Articoli su Giacomo Leopardi
La vita
L’infanzia
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Il traduttore
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La cattività in Recanati
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Geltrude Cassi Lazzari, il primo grande, sfortunato amore di Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi a Roma
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Giacomo Leopardi e Pietro Giordani: un’amicizia letteraria
La donna nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi
La donna nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Paolina Leopardi
La donna nella vita di Giacomo Leopardi: Paolina Ranieri
Le donne nella vita di Giacomo Leopardi: Adelaide Antici
Le donne nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Marianna Brighenti
Le donne nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Teresa Carniani Malvezzi
Pietro Giordani su Giacomo Leopardi in una lettera al Cavaliere Felice Carrone, Marchese di S. Tommaso
Teresa Fattorini: «Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno».
«A Silvia»di Giacomo Leopardi
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Breve commento a «Il passero solitario» di Giacomo Leopardi
Breve commento a «La sera del dì di festa» di Giacomo Leopardi
Breve commento a «La vita solitaria» di Giacomo Leopardi
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Breve commento dell’idillio «Alla luna» di Giacomo Leopardi
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