martedì 27 luglio 2021

Brevi note su Angelica Catalani



Nel 1778, il cardinale Bernardino Honorati istituì la Cappella musicale nel duomo di Senigallia; Agostino Catalani, originario di Mondolfo, vi concorse quale primo basso. Essendo risultato idoneo si trasferì nella città marchigiana e due anni più tardi nacque Angelica, la quale, appena mostrò doti per il canto, fu affidata al Direttore della Cappella, Pietro Morandi. La giovane, per necessità economiche, dovette interrompere gli studi, al fine di entrare come corista nel convento di S. Luca in Gubbio. All’interno dell’istituzione monastica, ebbe occasione di sviluppare grandemente le proprietà vocali, tanto da dedicarsi, sotto l’avallo paterno, all’istruzione musicale atta per debuttare in teatro.

Nel 1797, fu ascoltata a Senigallia da Alberto Cavos, che la condusse con sé a Venezia, perché debuttasse alla Fenice in compagnia col sopranista Luigi Marchesi nella Lodoïska del Mayr. Ottenne un successo clamoroso grazie alla straordinaria bellezza e potenza della voce.

Nel 1799, cantò presso il Teatro Argentina di Roma ed, alcuni mesi dopo, alla Pergola di Firenze, trovandosi, a soli diciannove anni, in un circuito assai importante.

Nicola Zingarelli (1752 - 1837)

Nicola Zingarelli la volle quale interprete de Il ratto delle Sabine, andato in scena presso il Teatro La Fenice nella stagione di carnevale del 1800; l’anno successivo debuttò nella Clitennestra, sempre dello Zingarelli, presso il Teatro alla Scala. Quindi cantò ancora in Roma e presso il Teatro italiano di Lisbona, dove si esibì competendo con cantanti insigni quali: Girolamo Crescentini ed Elisabetta Gafforini.

«La mia cara figlia Angelica – scriveva il padre al maestro Morandi il 4 maggio 1804 – non più celebre ma divina è stata confermata per altri tre anni, con l’onorario di trentaduemila crociati che fanno ottomila zecchini l’anno, ed un benefizio libero che sempre ha fatto in quattordici o quindicimila crociati. E’ poi vero che la regina di Portogallo li vole molto bene, e la prima volta che andette a corte li regalò un solitario di ventidue grani, che sono cinque carati e mezzo, ed un orologio di ripetizione, con catena tutto brintato, ed in tutto, sormonta a dodicimila scudi di regalo, la sola prima volta; è vero altresì, che in quella medesima sera che cantò, subito cantato il primo pezzo, che fu un’aria di straordinaria bravura, la Regina ordinò che si mettesse a sedere di fronte a lei proprio, che sempre parlò con la mia figlia; questo onore non ha ancora esempio nelle memorie del Portogallo, che essendo sotto il trono le persone reali, ne li primi principi di Corte, ne ministri di stato, ne cameristi, ne cameriste, siansi mossi a sedere perché tutti debbono stare in piedi, o in ginocchio, quando sono stanchi, con un ginocchio solo».

Alla fine del 1805, Angelica convolò a nozze con un ufficiale francese addetto all’ambasciata di Portogallo, Paolo Valabrègue, sprovvisto di alcuna cultura musicale. La coppia lasciò il Portogallo, per risiedere dapprima a Madrid indi a Parigi, dove, il 4 e l’11 maggio 1806, Angelica si esibì a Saint Cloud alla presenza di Napoleone, che l’avrebbe invitata tra le cantanti di Corte; quindi il 2 luglio, l’11 agosto ed il 3 settembre all’Opéra. Il successo per tutte le esibizioni fu grandioso.

(1762 - 1830)

Nel dicembre del 1806, si esibì a Londra nella Semiramide, che Marcos António Portugal aveva composto appositamente per la sua voce. Immenso il successo ed i relativi guadagni.

Nel 1814, ritornò a Parigi, perché Luigi XVIII le accordò la direzione del Théâtre des Italiens, che diventò operativa nel 1816, dopo che Angelica ebbe a completare una serie di concerti nelle principali città europee. Purtroppo, l’esperienza teatrale non si rivelò azzeccata, perché il marito, Paolo, prese in mano, a nome della moglie, la direzione, pur essendo completamente privo di qualsiasi educazione musicale. Ben presto, il teatro presentò produzioni assai depresse a causa di presenze artistiche non all’altezza; il pubblico riempiva la sala solo nelle occasioni, in cui avrebbe avuto la fortuna di ascoltare Angelica, per cui diversi compositori erano stati chiamati a scrivere opere esclusivamente per la sua voce, senza alcun interesse per il lineare sviluppo drammatico. Iniziarono i primi problemi economici, che, col passar del tempo ed a causa dell’incapacità manifesta di Paolo, divennero sempre più preoccupanti, fino a giungere alla chiusura del teatro, che avvenne nel 1818.

Angelica riprese l’attività concertistica, mietendo successi e conseguenti guadagni; l’ultimo concerto lo svolse a Chalons-sur-Marne il 20 gennaio 1830.

Si stabilì quindi a Firenze, dedicandosi all’insegnamento del canto.

Nel 1849, l’Italia fu invasa dal colera, la Catalani cercò allora rifugio a Parigi, dove avevano stabile dimora i figli, ma – purtroppo – il male la incolse, rapendola il 12 giugno, appena compiuti 69 anni.

Le fu dedicato un monumento presso il cimitero di Pisa ad opera dello scultore Aristodemo Costoli, sormontato da una statua in piedi, che rappresenterebbe l’arte dei suoni, fiancheggiata da altre statue simboliche assise, che compiono la simmetria del monumento; nella parte anteriore del piedistallo, che sostiene la statua principale, si vede il medaglione della cantante e la seguente iscrizione:

ANGELICA CATALANI

NATA IN SENIGAGLIA L’ANNO 1785 (data errata)

MORTA A PARIGI L’ANNI 1849

ERETTO DAI SUOI FIGLI ALLA SUA GLORIA ED ALLE SUE VIRTU’.

La Catalani si distinse particolarmente nell’aria di bravura; si rivelò maggiormente in sede concertista piuttosto che in quella teatrale, poiché a causa della sua timidezza, si sarebbe rivelata imbarazzata. Non avendo terminato compiutamente gli studi, sembra che provasse enormi difficoltà nella lettura a prima vista. La voce risultò seducente, accattivante, in grado di stregare il pubblico nel ristretto circuito delle medesime arie, che presentava in concerto, tra cui: «Son regina» dalla Semiramide di Portugal, «Nel cor più non mi sento» da La bella Molinara di Giovanni Pasiello, eseguita con fioriture assai ardite e complicate. Eccelleva nelle scale cromatiche, nei trilli e picchettati, che adagiava su un’estensione, che arrivava al sol sopracuto!

Si distinse particolarmente nelle opere di beneficenza a vantaggio degl’infelici.

 

 

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