mercoledì 29 settembre 2021

Giuliano da Sangallo nelle notizie storiche di «Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci

 

Giuliano da Sangallo nacque nel 1445 a Firenze.

Il babbo, l’architetto Francesco di Paolo Giomberti, era assai stimato da Cosimo de Medici. Il giovane Giuliano fu affidato al«legnaiuolo» Francione, «persona ingegnosa, che attendeva agl' intaglj di legno, e alle cose di prospettiva e con cui aveva grande dimestichezza». L’allievo dimostrò pronte capacità, tanto da essere impiegato per alcuni lavori all’interno del duomo di Pisa.

Nel 1448, fu inviato dal Magnifico a Napoli, per lavorare al nuovo palazzo reale del re di Napoli, Ferrante d’Aragona, «il quale onorevolmente lo ricevette. Grandissimo applauso fu fatto all'invenzione di Giuliano; onde il principe per regalare con magnificenza l’architetto, gli mandò qualche centinaia di ducati, alcuni cavalli e abiti e una tazza d’argento. Ma nulla volle Giuliano accettare de' grandiosi regali, che gli venivano offerti, scusandosi sempre con dire ch'egli era al servizio del Magnifico Lorenzo e che credeva perciò di far torto al suo padrone, se avesse ricevute simili ricompense. Sorpreso quel sovrano da tanta generosità volle che almeno si prendesse alcuna cosa, che di suo gradimento fosse in Napoli. Ed egli scelse certe antichità di marmo cioè una testa dell'imperatore Adriano, una statua di una femmina ignuda, grande più che 'l naturale, ed un Cupido dormiente. Concessegli il re ogni cosa volentieri e Giuliano, tolte seco le antichità suddette, recolle in dono al magnifico Lorenzo, che sommamente le aggradì, non cessando mai di lodare il nobile procedimento del suo architetto».

Lorenzo il Magnifico lo impegnò in lavori d’ingegneria, «per fabbricar molina, e bastie e per diriger l’artiglieria, nel quale incarico narra il Vasari Giuliano fece maraviglie, fortificando ottimamente ed addestrando gli uomini allo sparo delle artiglierie», nell’Assedio di Colle Val d’Elsa (1478). I suoi interventi furono risolutivi nella contesa, tanto da provocare l’allontanamento delle truppe nemiche dal territorio toscano.

Santa Maria Maddalena de' Pazzi /Firenze)

Si dedicò alla fondazione del «primo chiostro di Cestello, ora delle monache Carmelitane di santa Maria Maddalena de' Pazzi, facendo con Jonico compartimento quella parte, che si vede. Il capitello dell'ordine è ricavato da un antico, che si trovò a Fiesole; le volute scendono fino al collarino e sotto l’uovolo e le fusajuole ha un fregio alto quanto il terzo del diametro della colonna.

Villa medicea di Poggio a Caiano

Per il Magnifico, realizzò (1480) la Villa Medicea di Poggio a Caiano, «il qual disegno incontrò talmente il genio di Lorenzo, che subito fece por mano alla costruzione dell'opera ed assegnò poi sempre provvisione all'architetto. Nella gran sala di quel palazzo vi girò una volta, giudicata da tutti impossibile a reggersi per la sua gran larghezza, e riuscì in fatti la più ampia, che fino a que' tempi fosse stata eseguita».

Rocca di Ostia

Monsignor Della Rovere, futuro Giulio II, gli affidò i lavori di ristrutturazione della Rocca di Ostia, che lo trattenne per due anni.

Tornato in Firenze, ebbe la commissione del convento degli Eremitani di Sant’Agostino (oggi Ordine di Sant’Agostino), fuori della porta in località San Gallo «e di qui appunto ebbe origine il soprannome da Sangallo, che restò a Giuliano, e a que' di sua famiglia. Per la qual cosa Giuliano, che da ognuno sentivasi chiamare da Sangallo, disse un giorno scherzando al Magnifico Lorenzo: Colpa del vostro chiamarmi da Sangallo mi fate perdere il nome del casato antico; e credendo avere andar innanzi per antichità, ritornò a dietro. E Lorenzo gli rispose essere ben giusto che per la sua virtù egli fosse principio di un casato nuovo».

Dopo la morte del Magnifico, molte erigende costruzioni rimasero incompiute, tra cui il convento agostiniano, che fu gravemente danneggiato nell’assedio di Firenze del 1530.

Elaborò i disegni per Palazzo Gondi, ricchissima famiglia fiorentina, che, a causa della morte del patriarca, non poté aver esecuzione.

Tra il 1488 ed il 1511, lavorò alla Fortezza di Poggio Imperiale in Poggibonsi.

Basilica di Santa Maria delle carceri di Prato

Fu chiamato a Milano, dove incontrò Leonardo da Vinci; quindi si condusse a Prato, per progettare la Basilica di Santa Maria delle Carceri, dimorandovi «per ben tre anni vivendo con qualche disagio e stento; infinoché avendosi a ricoprire la chiesa della Madonna di Loreto (Basilica della Santa Casa) e voltare la cupola, già stata cominciata e non finita da Giuliano da Majano, dubitando i direttori dell'opera, non fossero i pilastri sufficienti a reggere il peso, scrissero al Sangallo, che colà si portasse. Ed egli dimostrò loro che facil cosa era il voltarla, allegando sì convincenti ragioni che fu allogata l’opera».

Papa Alessandro VI Borgia gli commissionò il rifacimento del soffitto di Santa Maria Maggiore, «che dicesi dorato col primo oro venuto dall'America».

A Savona, patria del cardinale Della Rovere, cominciò il palazzo (1495 – 1497) dedicato alla famiglia, «decantato dal Vasari per superbo, ma essendosi in quello frattempo dovuto 'l cardinale ritirare in Francia pe' diffapori insorti tra esso e il pontefice, Giuliano, ch'eragli affezionato, gli tenne dietro e fu allora  che d'ordine del cardinale presentò il modello del predetto palazzo al re di Francia, che l'ebbe molto caro».

Ripartì per Savona, al fine di riprendere il lavoro di costruzione interrotto. Tornando in Firenze coi suoi collaboratori, nel furoreggiare della guerra tra Pisani e Fiorentini, «provvide in Lucca di un salvocondotto per passare liberamente. Ma nulla gli valse simile precauzione, poiché imbattutisi ne' soldati Pisani furono tutti fatti prigioni, né si volle avere verun riguardo al salvocondotto o ad altra cosa, che avessero; e fu Giuliano per mesi sei ritenuto in Pisa con taglia di trecento ducati, i quali gli convenne pur di pagare, s'egli volle ritornare a Firenze».

Il 1 novembre 1503, fu assunto al pontificato il cardinal Della Rovere col nome di Giulio II, «avvenimento che riempì di giubbilo il nostro Giuliano per la lunga, e fedele servitù, che aveva sempre professata a quel prelato, e per l'affezione, ch'egli avevagli dimostrata». Giuliano si recò a Roma, per essere ricevuto dal nuovo pontefice. La presenza del Bramante impedì al Fiorentino di ricevere l’incarico più prestigioso: la riedificazione di San Pietro, quindi tornò in Toscana.

«Fu veramente da compatire nel presente caso il povero Giuliano, il qual rimase deluso, ma non è per tutto ciò da condannare il saggio pensamento del pontefice di antiporre il più degno artefice, per condurre una fabbrica dell'importanza, ch'era quella di fan Pietro. Anzi sarebbe desiderabile che simile procedimento fosse imitato anche a' tempi nostri, ne' quali si dà luogo di troppo alle brighe e alle passioni particolari, quando si ha per le grandi opere a scegliere un qualche soggetto. Per la qual cosa vediamo non di rado accadere che il più valente debba soffrire la dolorosa mortificazione di vedersi messo innanzi un ignorante. Dal che ne segue che chi ne fa la spesa, in vece di recare decoro alla patria, la deturpa e in luogo di onorarsi diviene favola de' contemporanei e trae poi da' posteri la meritata taccia di persona sciocca e senza giudizio». Parole che ancor oggi indurrebbero a riflettere sullo stato delle cose.

Giulio II non volle privarsi dell’arte del Sangallo, così scrisse a Pietro Soderini, gonfaloniere di Firenze, per ottenere i servizi dell’architetto fiorentino nella fortificazione del torrione, iniziato da Niccolò V.

A Roma, intanto, era giunto Raffaello, impegnato nelle Stanze. Il pontefice intendeva risolvere la dipintura della Cappella Sistina, che, grazie al consiglio di Sangallo, fu affidata a Michelangelo.

Sangallo rincasò, perché doveva impiantare una fortezza in Pisa insieme alla porta di San Marco.

Leone X De Medici, figlio del Magnifico, fu eletto papa il 9 marzo 1513, dopo la scomparsa di Giulio II, ed, essendo scomparso il Bramante, il nuovo pontefice individuò il Sangallo il naturale continuatore nella cura della fabbrica di San Pietro. Il Fiorentino dovette rinunciare per seri problemi di salute tanto che il 16 ottobre 1516 morì e sepolto nella chiesa di S. Maria Novella.

«Molto debbe l’architettura a Giuliano da Sangallo per le onorate fatiche in essa fatte, delle quali un bel saggio ne rimane tuttavia in un volume originale stimabilissimo di piante e disegni d'architettura di sua mano, che si conserva presso il cavaliere Giovanni Antonio Pecci gentiluomo Senese, eruditissimo nelle belle arti».

 

Articoli d’arte

LA VITA DI MICHELANGELO BUONARROTI DALLA «VITA» DI ASCANIO CONDIVI (1553)

Gli inizi

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Contro la volontà di Papa Giulio II Della Rovere

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La volta della Cappella Sistina

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Le quattro statue nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze

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Il«Giudizio universale»

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LA VITA DI GIAN LORENZO BERNINI NELLE MEMORIE DI ROCCO BERNABO’

Nella Roma di Paolo V

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Nella Roma di Urbano VIII

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Nella Roma di Innocenzo X

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Nella Roma di Alessandro VII

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Nei regni di Clemente IX e Clemente X

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Alla corte di Luigi XIV

https://alessandrodiadamo.wordpress.com/2021/02/09/gian-lorenzo-bernini-alla-corte-di-luigi-xiv/

Gli ultimi tempi nella Roma di Innocenzo XI

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Leon Battista Alberti architetto nel racconto delle memorie storiche di Filippo Baldinucci

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Alessandro Filipepi detto Sandro Botticelli, pittore fiorentino secondo «Le notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci

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Domenico del Ghirlandaio, pittore fiorentino, nelle memorie di Filippo Baldinucci

https://ale0310.blogspot.com/2021/08/domenico-del-ghirlandaio-pittore.html

Antonio del Pollaiolo, pittore, scultore ed architetto fiorentino nelle testimonianze di Filippo Baldinucci

https://ale0310.blogspot.com/2021/06/antonio-del-pollaiolo-pittore-scultore.html

Andrea Del Verrocchio, pittore, scultore ed architetto fiorentino secondo le testimonianze di Filippo Baldinucci

https://ale0310.blogspot.com/2021/06/andrea-del-verrocchio-pittore-scultore.html

«Piero di Cosimo, pittore fiorentino, così detto perché fu discepolo di Cosimo Rosselli» nella descrizione di Filippo Baldinucci

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«Andrea Mantegna, pittor padovano» dalle «Notizie de’ professori del disegno» di Filippo Baldinucci

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martedì 28 settembre 2021

Alessandro Manzoni: le Odi


Nel settembre del 1819, Alessandro Manzoni si portò a Parigi colla famiglia, ospitato dal Fauriel e dalla marchesa di Condorcet. Il felice soggiorno fu turbato dall’improvvisa indisposizione dello Scrittore, che ne informò il marchese Visconti d’Aragona, annunciandogli il rimpatrio nella fine di maggio; con la famiglia sarebbe rincasato l’8 agosto a Brusuglio. Aveva trascorso circa dieci mesi a Parigi, un periodo decisamente breve, ma, forse, interessante per la definitiva costituzione del suo pensiero politico.  Si confermò nelle simpatie per i cattolici giansenisti, in accordo con i convincimenti liberali e soprattutto confidò negli studi storici, dove vide soprattutto nei vinti l’azione della Provvidenza. Egli quindi rimpatriava nelle migliori condizioni di spirito, per comprendere la situazione italiana, dove già dal 1818, sul Conciliatore si attendevano scuole di mutuo insegnamento e dal 1819, si passò all’azione politica. 

Nel1820, Pellico e Confalonieri furono
tratti in arresto e nella primavera del ’21, scoppiò la prima grande vampata, cui Manzoni non prese parte, essendo spirito più riflessivo e meditativo, che portato all’azione. Sempre nel 1820, diede alle stampe la tragedia Il Conte di Carmagnola, che suscitò immediata soddisfazione nel Pellico, che la definì «bellissima», e di molti letterati francesi e tedeschi, tra cui Goethe.

Calude Fauriel (1772 - 1844)

Vincenzo Monti (1754 - 1828)
Vincenzo Monti se ne lagnò per lo stile trascurato e prosaico e giudicò il coro una sovrastruttura inutile.

Manzoni si attirò anche critiche feroci per aver condotto in scena personaggi storici reali; in contraddizione colle regole aristoteliche, e coll’uso del coro alla maniera della tragedia greca, quale luogo di rappresentazione del pensiero dell’autore.

Nella tragedia, confluivano i sentimenti religiosi, morali – patriottici dello scrittore. Sulle unità aristoteliche, confidava nella Prefazione che «lo spettatore fosse lì come parte dell’azione; quando è, per così dire, una mente estrinseca che la contempla. La verosimiglianza non deve nascere in lui dalle relazioni dell’azione col suo modo attuale di essere, ma da quelle che le varie parti dell’azione hanno tra di loro».

Manzoni quindi difendeva se stesso come tragico e come lirico, e, nel rispetto della verità storica, alzava la propria voce di cristiano ed italiano di fronte all’azione.

Col Carmagnola, Manzoni, compiuta un’opera d’arte e di fede, costituiva l’essenza del suo particolare Romanticismo, fondato, essenzialmente, sul rifiuto della mitologia idolatra, sul rifiuto dell’imitazione dei classici, i quali mai giunsero all’«esclusiva perfezione poetica», come scriveva in una lettera a Cesare D’Azeglio.

Forse la mancata soddisfazione propose a Manzoni una nuova eppur più impegnativa prova. Già dal 1820, confidava in una lettera al Faurel il soggetto per la nuova tragedia: la caduta del regno longobardo colla situazione giuridica e politica degli Italiani divisi tra Longobardi e Franchi.

Dopo aver dato corso a diverse letture storiche, Manzoni oppose la ricostruzione storica dell’avvenimento, dei personaggi e dei costumi. Nacque così l’Adelchi (1822), ricca di vita umana e di passione tragica, che dimostrò compattezza nell’azione, potentemente drammatica e patetica nei due cori, in cui sono descritte le condizioni del volgo italiano; e l’alta poesia con cui è descritta la figura di Ermengarda. L’Adelchi rappresentò un altro grande passo in avanti del genio manzoniano verso la piena rivelazione di sé.

L’identità della concezione storica morale e patriottica si rinnova per entrambi i lavori, con al centro la situazione italiana, governata tirannicamente da forze straniere; esplode la visione pessimistica della storia, trasfigurata in forza della fede, nella ricostituzione di un ordine morale voluto dalla Divina Provvidenza.

Già nel Marzo 1821, e nel Cinque maggio, emergeva la coscienza patriottico – umana e cristiana del Poeta, che interpretava i moti rivoluzionari napoletani  e piemontesi poi, come felice augurio che l’esercito sardo potesse passare il Ticino. Manzoni intravide una tenue fiammella della desiderata unità, che avrebbe finalmente taciuto le discordanze regionali e che presto tutta la Penisola sarebbe stata invasa dalla scelta d’unità.

Marzo 1821, cui sarebbe seguita La Pentecoste, fu pubblicata nel 1848, dopo le Cinque giornate, quando tutta l’Italia sorgeva per la prima guerra nazionale. Espresse tutto il suo amore, soffuso di tenerezza e pietà per la dolente Patria, che doveva risollevarsi dallo stato avvilente e servaggio, cui era stata condotta.

Più concettoso il Cinque maggio, ispirato dalla morte di Napoleone I, e scritto in soli due giorni. Fu vera gloria? Fu la domanda antiretorica, con cui illustrava la parabola napoleonica e, nello stesso momento, giudicava le fortunose vicende, sotto le quali giaceva serva l’Italia.

Johann Wolfgang Goethe (1749 - 1832)
La sua ode fu colta dal Goethe, che ne curò la traduzione.

 

 

 

  




Il primo soggiorno parigino di Alessandro Manzoni

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Alessandro Manzoni: «Le osservazioni sulla morale cattolica»

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