mercoledì 11 agosto 2021

Carlo Goldoni: praticante provetto


Il praticantato presso lo studio di avvocato dello zio procedeva speditamente, quando una lettera del babbo, richiama Carlo a Milano, poiché era «rimasto vacante un posto nel collegio del Papa». Nella capitale meneghina, avvenne la visita al «marchese e senatore Goldoni», ma sorse un problema di non poco conto: l’iscrizione al collegio Ghislieri, «detto il collegio del Papa», era stata riservata solo ai tonsurati. Grazie ai pronti uffici della mamma, che era trasferita a Venezia, in breve tempo arrivarono gli attestati di stato libero e di buoni costumi. Finalmente il trasferimento a Pavia, accompagnati da una lettera commendatizia del senatore, dove Carlo è presentato al superiore del collegio ed al professor Lauzio, docente universitario, «giureconsulto del più gran merito». Goldoni poté approfittare della ricchissima biblioteca del suo professore, dove poté soddisfare la sua curiosità attorno ai poeti greci e latini, di cui avrebbe voluto «imitare nei loro disegni, nel loro stile, nella lor precisione». Sorpreso per la mancanza di testi teatrali italiani, sorse – forse – il desiderio e sentì la necessità di riempire quel vuoto, poiché qualcosa mancava «a questa nazione, che aveva conosciuto l’arte drammatica prima di qualunque altra delle moderne; né potevo comprendere come l’Italia l’avesse negletta, avvilita e imbastardita. Desideravo però con passione di veder la mia patria rialzarsi a livello delle altre, e mi ripromettevo di contribuirvi».

Maturarono finalmente i tempi per l’ingresso nel collegio Ghisleri, così Goldoni ricevette «la tonsura per mano del cardinal Cusani, arcivescovo di Pavia; e uscito dalla cappella di sua eminenza, andai con mio padre a presentarmi al collegio.

Il superiore, che si chiama Prefetto, era l’abate Bernerio, professore di gius canonico nell’università, protonotario apostolico, che godeva, in virtù di una bolla di Pio V, il titolo di Prelato, suddito immediato della Santa Sede».

Sopportata una breve predica da parte del prefetto, Carlo è presentato ai convittori più anziani. La vita collegiale apparì subito serena e tranquilla al giovane commediografo; blande le misure disciplinarie e facilmente sopportabili: «Eravamo ben forniti di abiti, e con l’eleganza medesima degli abati che girano per le conversazioni: panno d’Inghilterra, seta di Francia, ricami e guarnizioni, con una specie di veste da camera senza maniche per sopravveste e una stola di velluto appesa alla spalla sinistra con l’arme Ghislieri ricamata in oro e argento, sormontata dalla tiara pontificia e dalle chiavi di san Pietro. Questa toga chiamata sovrana, che è la divisa del collegio, dà un’aria d’importanza che reprime la bizzarria della gioventù».

Nel collegio, Goldoni poté esercitarsi nella «scherma, nel ballo, nella musica e nel disegno come pure in tutti i giochi possibili di trattenimento e d’azzardo. Questi ultimi, benché proibiti, erano ciò nondimeno frequenti, e quello della primiera mi costò caro».

Grazie alle frequenti uscite, Carlo trovò facile compagnia presso le signore, che mostravano di gradire le sue «strofette e canzoni». Le vacanze si aprirono nel mese di giugno e terminarono alla fine di ottobre ed il Goldoni le trascorse in quel di Chioggia, dove poté riabbracciare la mamma ed il fratello, sempre più discolo. Il canonico Gennari frequentava abitualmente casa Goldoni e così Carlo chiese e ricevette il libro della «Mandragola» di Machiavelli, che suscitò una forte impressione; il babbo, scoperta l’insana lettura, si adirò fortemente coll’appena diciassettenne, il quale fu costretto ad indicare il nome di chi gli aveva consegnato l’infame libro, causando così una forte discussione tra il babbo ed il canonico.

La pausa estiva volgeva al termine, così Carlo dovette tornare agli studi universitari, dedicando poco tempo al divertimento. Nel mese di ottobre, si laureano alcuni amici del Commediografo, che fu costretto ad inventare un sonetto; quindi, al termine dell’anno ritorno ancora a Chioggia, dove la religiosa, Donna Maria Elisabetta Bonaldi, intima della mamma, aveva ricevuto da Roma una reliquia del fondatore dell’Ordine, che condivideva con le consorelle, «e vi bisognava il discorso panegirico. La signora Bonaldi, ponendo fiducia nel mio collare, mi credeva già moralista, teologo e oratore.  Mi pregò dunque di comporre il discorso e di affidarlo ad un suo protetto, sicura che lo avrebbe portato a meraviglia. Le mie prime parole furono di scusa e rifiuto, ma riflettendo che al collegio si faceva ogni anno il panegirico di Pio V, e un collegiale per lo più ne assumeva l’incarico, accettai l’occasione di esercitarmi in un’arte, che non mi pareva poi in fondo difficilissima. Feci il discorso nello spazio di quindici giorni.

L’abatino l’imparò a mente, e lo portò come avrebbe potuto fare un espertissimo predicatore. Il discorso produsse il più grande effetto: si piangeva, si sputava da tutte le parti, né si stava fermi sulle seggiole.

L’oratore s’impazientiva, picchiava mani e piedi; crescevano intanto gli applausi, finché il povero diavolo gridò dal pulpito: Silenzio! e tutti tacquero. Si sapeva benissimo che era mia composizione: quanti complimenti!»

Quindi, raggiunse il babbo a Padova, grazie ad un vetturino milanese, «persona conosciutissima e fidata». Durante il tragitto, il conducente incontrò un collega, che trasportava «una sola persona. Era una donna, che mi parve giovane e bella; fui curioso di vederla da vicino, e al primo desinare restò appagata la mia curiosità. Vidi una veneziana che giudicai dell’età di trent’anni, oltremodo garbata e amabile; si fece tra noi conoscenza, e si fissò con i vetturini, che, per essere meno sbalzati dal calesse sulla strada cattiva, ci saremmo seduti insieme in uno dei due, e l’altro sarebbe andato a vuoto alternativamente.

I nostri colloqui furono piacevolissimi, ma decentissimi. Vedevo per altro che la mia compagna di viaggio non era una vestale, e aveva il tono della buona compagnia; ma passammo le notti in camere separate con la maggior regolarità. Arrivando a Desenzano, in riva al lago di Garda, tra la città di Brescia e quella di Verona, ci fecero smontare in un albergo che guardava sul lago.

Vi si trovavano in quel giorno molti viandanti, e non vi era che una camera con due letti per madama e per me. Cosa fare? Bisognava pur adattarsi: la camera era molto grande, e i letti non si toccavano. Ceniamo, ci diamo a vicenda la buona notte, e ciascuno si ficca sotto le sue lenzuola. Prendo subito sonno secondo il solito, ma lo interrompe un violento fracasso, e mi sveglio repentinamente. Non vi era lume; ma al chiaror della luna, che passava per le finestre senza imposte e senza tende, vidi la donna in camicia e un uomo ai suoi piedi. Domando: cos’è? La bella eroina, con una pistola in mano, mi dice in tono di fierezza e di scherno:

- Aprite la porta, signor abate, gridate al ladro, e poi tornate a letto. - Non tardo un istante, apro, grido, vien gente e il ladro è preso: fo poi delle domande alla mia compagna, che non si degna darmi conto della sua bravura. Pazienza; me ne ritorno a letto e dormo fino al giorno dopo.

La mattina partendo fo ringraziamenti alla mia compagna: ella sempre scherza; così continuiamo il nostro viaggio per Brescia, e arriviamo a Milano», dove raggiunse casa del marchese Goldoni.

«Mi credevo al colmo della felicità, ed ero sull’orlo della mia rovina».

 

 

Articoli di Letteratura

«Filippo» di Vittorio Alfieri

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ARTICOLI SU GABRIELE D’ANNUNZIO

Alla prima de «Il ferro» di Gabriele D’Annunzio presso il Teatro Carignano di Torino

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Alla prova generale de «La Pisanelle» di Gabriele D’Annunzio

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La impresa di Fiume nell’analisi della stampa dell’epoca

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«La Pisanelle» di Gabriele D’Annunzio nelle critiche dei giornali parigini dell’epoca

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Una visita a Gabriele D’Annunzio. Il Poeta nella solitudine del suo studio

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DAL «VIAGGIO IN ITALIA» DI JOHANN WOLFGANG GOETHE

Johann Wolfgang Goethe da «Il viaggio in Italia». Novembre 1776: Roma

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Johann Wolfgang Goethe: «Il viaggio in Italia». Dicembre 1786, Gennaio 1787: Roma

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Johann Wolfgang Goethe: «Il viaggio in Italia». Febbraio 1787: Roma

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Dal «Viaggio in Italia»: Johann Wolfgang Goethe verso Napoli

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Dal «Viaggio in Italia» di Johann Wolfgang Goethe: Napoli

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LA VITA DI CARLO GOLDONI

Carlo Goldoni: gli inizi

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Carlo Goldoni: l’incontro con la compagnia di De Maccheroni

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GUIDO GUINIZZELLI

«Dolente lasso» di Guido Guinizzelli

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«Vedut’ho la lucente stella diana» di Guido Guinizzelli

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LA VITA DI GIACOMO LEOPARDI

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ARTICOLI SU GIACOMO LEOPARDI

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Breve commento a «Il primo amore» di Giacomo Leopardi

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Breve commento dell’idillio «Alla luna» di Giacomo Leopardi

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Le donne nella vita di Giacomo Leopardi: Adelaide Antici

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La donna nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Paolina Leopardi

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Le donne nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Teresa Carniani Malvezzi

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I LIBRETTI DI PIETRO METASTASIO

“Achille in Sciro” di Pietro Metastasio

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“Alessandro nelle Indie” di Pietro Metastasio

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ARTICOLI SU PIER PAOLO PASOLINI

Il poetico «Teorema» di Pier Paolo Pasolini

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Intervista a Pier Paolo Pasolini

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Pasolini denunciato da un distributore

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Pasolini e la televisione

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Pasolini moralista cercava lo scandalo

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«Siamo tutti in pericolo». L’ultima intervista a Pier Paolo Pasolini

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LE LETTERE DI GIUSEPPE UNGARETTI A BRUNA BIANCO

«Sento sempre la Tua voce. E cerco con gli occhi il tuo viso». Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 15 settembre 1966

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«Io Ti amerò sempre, come un’incredibile apparizione, come una sublime generosità» Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 23 ottobre 1966.

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«Il tuo ricordo, e domani ancora la tua presenza?» Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 26 ottobre 1966.

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