lunedì 8 novembre 2021

«Raffaello da Urbino, pittore e architetto» nelle notizie storiche tratte da «De’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci



 

«Nell’anno di nostra falute 1483 nacque al mondo questo grande artefice, che per ispecial privilegio fu di tutte quelle eccellenze dotato, che appena i molti secoli e fra molta persone è solito di compartire il cielo». Il babbo, Giovanni era pittore ed operò nella città di Urbino ed a Cagli; «vedendo il figliuolo maravigliosamente inclinato all'arte del disegno e della pittura, cominciò egli medesimo ad istruirlo e in breve tempo a tal segno lo condusse che così fanciullo, com'era, diedegli grand'ajuto nell'opere, che fece per quello stato; ma come discretissimo ch'egli era, conoscendo i gran progressi del figliuolo venir ritardati pur troppo dalla poca sufficienza sua, tanto si adoperò con Pietro Perugino, eccellentissimo pittore, che gli venne fatto che egli sotto la sua disciplina lo ricevesse». L’insegnante si accorse immediatamente delle brillanti doti del giovane allievo, sicché «non andò molto che gli studj di Raffaello né punto né poco si distinguevano dagli originali del maestro».

Raffaello - Pala degli Oddi (Pinacoteca Vaticana)



Raffaello - Crocifissione Gavari (Pinacoteca di Brera)


Nella Chiesa di S, Francesco in Perugia, realizzò la Pala degli Oddi (1502 – ’03) (oggi alla Pinacoteca vaticana), «dove figurò un'assunzione al cielo di Maria Vergine, e di sotto gli apostoli, con alcune storiette di piccole figure nella predella della medesima tavola» la Pala di San Nicola da Tolentino per la Cappella Baronci in Sant’Agostino di Città di Castello, andata distrutta nel terremoto del 1789; la Crocifissione Gavari per la Chiesa di San Domenico (1502 – ‘03), (oggi alla National Gallery di Londra), «nella quale egli scrisse il proprio nome»; e lo Sposalizio della Vergine (1504) per la chiesa di S. Francesco (oggi alla Pinacoteca di Brera).

L’artista si spostò a Firenze, dove «fu molto onorato da Lorenzo Nasi e da Taddeo Taddei, il quale lo tenne in sua casa propria, ed alla propria sua tavola per tutto il tempo, che vi dimorò. Quello Taddeo Taddei fu erudito gentiluomo, onde fu molto caro al cardinal Bembo, con cui tenne lunga corrispondenza di lettere e, come si ha dalle medesime, fu solito favorirlo in ogni affare».

Tornò nuovamente a Urbino, per seguire la morte del babbo e, subito dopo, della madre, quindi si trasferì a Perugia, per realizzare nella chiesa di S. Severo a Perugia la Trinità e Santi (1505 – ’08).

Raffaello - Trinità e Santi (Chiesa di San Severo, Perugia)

Quindi, «desideroso di nuovi studj se ne tornò a Firenze per studiare le pitture di Masaccio, senza perder di vista quelle del cartone di Michelagnolo e di Lionardo. Fecesi anche stretta amicizia con fra Bartolomeo di san Marco, cognominato il Frate, al quale insegnò le buone regole della prospettiva, riportandone egli il contraccambio di profondissimi precetti pel colorito, a seconda de' quali operando poi Raffaello fecesi quella mirabile maniera, che a tutti è nota».

Raffaello - Pala Baglioni (Galleria Borghese, Roma)


Si dedicò alla celebre Pala Baglioni (1507) per la chiesa di S. Francesco a Prato (conservata presso la Galleria Borghese). Fu richiamato ancora una volta a Firenze dalla famiglia Dei, che gli commissionò la Madonna del Baldacchino (1506 – ’08) presso la cappella di famiglia (oggi conservata presso la Galleria Palatina di Firenze).

Raffaello - Madonna del Baldacchino (Galleria Palatina, Firenze)

Grazie all’intervento di Bramante, fu chiamato a Roma da Giulio II, che gli commissionò la Stanza della Segnatura (1511).

«Questa camera detta della segnatura contiene nella volta quattro immagini di donne sedenti sulle nuvole, e sono la teologia, la filosofia, la giurisprudenza, e la poesia. Sotto di queste allusive a queste discipline sono due grandi pitture nelle pareti, che non sono interrotte, e due minori, dove rimangono le finestre. Nella parete, che rimane a mano sinistra dell'ingresso, che corrisponde alla filosofia, è il ginnasio di Atene di una superba architettura. Nel mezzo in un sito elevato sono Platone e Aristotile in piedi quasi in atto di disputare. Vi è anche Socrate, che si conofce dalla faccia ricavata da' marmi antichi, e numera con le dita verso un bellissimo giovane armato, fatto per Alcibiade. V'è Pittagora, a cui un giovanetto tiene una tavoletta colle consonanze armoniche e molti altri filosofi antichi. Quel giovane vestito fino al collo di un bianco manto fregiato d'oro, che tiene la mano al petto, ed è di fianco, si dice essere Francesco Maria della Rovere duca d'Urbino, e nipote di papa Giulio. Evvi Diogene in disparte sul secondo scaglione col pallio gettato indietro mezzo nudo e scalzo con avanti la tazza. Quegli, che chinato a terra disegna sopra una tavoletta col compasso una figura esagona, è Archimede, ma la testa somiglia a Bramante Lazzari grande architetto, e parente di Raffaello. Quel giovane inchinato con un ginocchio per vedere detta figura, e che l'accenna a un suo compagno, si dice dal Vasari essere Federico II duca di Mantova. Uno di quelli sapienti col globo elementare in mano, e colla corona radiata e il mantello d'oro si crede Zoroastro re de' Battriani. Tra tutte queste figure si debbon notare le teste di que' due sulla destra di Zoroastro, e su l’ultima linea della pittura, perché uno di essi rappresenta al naturale Raffaello medesimo, ed è il più giovane, che ha una berretta nera in testa, di nobile aspetto, e modesto, adorno di grazia, e di dolcezza. L’altro attempato è Pietro Perugino. L'architettura di questo ginnasio ritiene molto della basilica Vaticana, secondo la prima idea di Bramante e del Buonarroti.

Di rimpetto a questa pittura, sotto l’immagine della teologia, nel meno della gran parete è effigiato un altare, sopra al quale è posto un ostensorio d' oro col santissimo Sacramento (La disputa del Sacramento), e di qua e di là i quattro dottori della chiesa Latina con altri maestri in divinità, che disputano sopra questo profondo mistero. Qui pure è ripetuto il ritratto di Bramante, calvo e senza barba, e sta appoggiato ad un parapetto di marmo, su cui appoggia un libro aperto e colla sinistra accenna la scrittura, volgendosi verso d'uno, col quale pare, che contrasti. Evvi anco Innocenzo III, san Tommaso Scoto, e san Bonaventura, e fino Dante poeta teologo col volto in profilo, raso ed asciutto  e laureato, e rimane a mano destra quasi sopra la porta; e appresso di lui è tra Girolamo Savonarola Domenicano, dipinto pure in profilo. In aria ha Raffaello effigiato il Padre eterno col Figliuolo e la Vergine madre, e san Giovan Battista, e sotto varj santi del vecchio e nuovo testamento con molti angeli, tra' quali quattro tengono i libri de' quattro evangelj. Questa è la prima pittura, che facesse in queste stanze Raffaello, e ritiene nella gloria qualche poco della maniera de' vecchi maestri, benché si vegga che di gran lunga gli aveva già trapassati.

Sopra la finestra di mano sinistra sotto l'immagine della giurisprudenza, sono rappresentate le tre virtù, che accompagnano la giustizia, cioè la prudenza, temperanza e fortezza (Virtù e la Legge). Nel lato destro della finestra siede papa Gregorio IX  e porge i decretali ad un avvocato concistoriale, nel volto del qual papa è espresso Giulio II. Appresso ad esso sono ritratti i cardinali Giovanni de' Medici, che fu poi Leone X, Antonio del Monte e Alessandro Farnese, detto dopo Paolo III. Nel lato sinistro è Giustiniano imperadore, che dà i digesti a Triboniano, che sta ginocchioni, con avere presso di sé in piedi Teofilo e Doroteo.

Sopra la finestra sotto l’immagine della poesia si vede il monte Parnaso, con Apollo, e le Muse e sotto ad esse sparsi pel monte varj poeti.

Sembra Omero cieco cantare i suoi poemi. Più addietro è Dante col mantello lungo di color rosso e la berretta in capo, e la corona di alloro, e pare che vada seguitando Virgilio, come egli finge nel suo poema. Dopo Virgilio quel poeta laureato di età giovenile è lo stesso Raffaello. Più a basso una donna sedente è Saffo, come si legge nella cartella o volume, che tiene. Il poeta laureato, che è sulla destra senza barba, è il Sannazzaro. Sopra ad esso all'ombra di due lauri si veggono due altri coronati, che il Vasari dice uno essere il Boccaccio e l’altro il Tibaldeo; il primo ha le mani entro le maniche del sajo e l’altro volge la faccia avanti. Vi sono alcune figure grandi quanto il naturale di chiaroscuro, che rappresentano uomini, e donne a foggia delle Cariatidi, che sostengono una cornice. Tra esse sono alcuni riquadri floriati. In un di questi sotto la scuola d'Atene è una donna, che tiene sotto il piede il globo terrestre e molti libri, e significa la speculazione delle cose elementari. In un altro son varj filosofi, che ragionano intorno al globo terracqueo. Quindi segue Siracusa assalita per mare e per terra, e difesa dalle macchine d'Archimede. Poi si vede Archimede medesimo percosso da un soldato nella presa di Siracusa, senza che egli se ne accorga, per esser intento a un teorema matematico, la cui figura disegna con le seste in terra. Sotto il Sacramento dell'altare è un sacrifizio antico de’ Gentili, che accenna essere abolito dall'incruento e divino sacrifizio della messa. Appresso è sant'Agostino col fanciullo, che gli mostra esser più facile con una tazza votare il mare, che intendere il mistero della santissima Trinità. Poscia si vede la Sibilla, che mostra ad Ottaviano la vergine, che doveva partorire senza commercio umano. In fine una donna sedente rivolta al cielo per denotare la contemplazione delle cose celesti.

Sotto il monte Parnaso di qua, e di là dalla finestra parimente sono due piccole storiette di chiaroscuro, ma bellissime al maggior segno, che una rappresenta il ritrovamento de' libri Sibillini nel sepolcro di Numa, e l’altra  l’abbruciamento di essi nel comizio. Nell'arco di questa finestra è scritto: Julius II Ligur, Pont. Max. an. Chr. MDXI pontificat. sui VIII».

Michelangelo fu richiamato in Firenze, così Bramante fece visitare la Cappella Sistina a Raffaello, «il quale, riconosciuto che ebbe la nuova e gran maniera, la profonda intelligenza dell'ignudo, il ritrovare e girar de' muscoli negli scorti, e la mirabil facilità, con che si veggono in quell'opera superate le più ardue difficultà dell'arte, rimase stupito a segno, che, parendogli fino allora non aver fatto nulla, posesi a far nuovi ftudj e prese la gran maniera, che dipoi tenne sempre».

«La prima opera dunque, ch'egli facesse, o per meglio dire, rifacesse di quella gran maniera, fu la mirabile figura dell' Isaja profeta nella chiesa di santo Agostino».

Agostino Chigi dispose, perché nella Villa Farnesina dipingesse il Trionfo di Galatea (1512); quindi, nella basilica di Santa Maria della Pace le Sibille ed Angeli (1514).

Quindi riprese l’attività della Stanza della Segnatura colla Messa di Bolsena, la Liberazione di San Pietro (1513 – ’14) ed altre storie per diversi cardinali.

Si dedicò ad immortalare Leone X ed i cardinali Giulio de Medici (futuro Clemente VII) e Luigi De Rossi (1518) (oggi agli Uffizi); quindi concluse La stanza dell’incendio di Borgo (1514 – 17) nelle Stanze vaticane, «e la tanto nominata loggia di Agostino Chigi (Loggia di Psiche presso la Villa Farnesina di Roma, tra il 1508 ed il 1512), dove sono molte figure di tutta sua mano, siccome furono tutti i disegni, e cartoni fatti per la medesima».

Cominciò a descrivere i cartoni, sui quali avrebbero lavorato i suoi allievi, per dipingere la Sala di Costantino (1520 – 24) (Musei vaticani)

«Fu Raffaello anche nell'opere di architettura eccellentissimo», producendo molti disegni per diverse opere, come le Logge, iniziate dal Bramante, del Palazzo apostolico, che affidò al lavoro di alcuni allievi, tra cui Giulio Romano. Edificò, per conto del cardinale Scipione Caffarelli Borghese la Casina in Villa Borghese a Roma e disegnò la cupola di Santa Maria del Popolo della Cappella Chigi.

«Pel monastero di Santa Maria dello Spasimo di Palermo (1517) (oggi al Prado di Madrid) fece la gran tavola del Cristo portante la croce (La salita al Calvario), la quale ben coperta, e incassata già si conduceva per mare al luogo suo, quando rottasi ad uno scoglio la nave, periti gli uomini e le mercanzie quella sola si salvò; conciossiacosaché fosse portata nel mare di Genova e quivi tirata a terra senz'alcuna macchia o lesione fosse ritrovata e parve in un certo modo che 'l mare avvezzo a spogliare la terra de' suoi più ricchi tesori non osasse imbrattarsi di furto sì detestabile col rapire una delle più ricche gioje, che ‘l mondo avesse».

Dipinse la Trasfigurazione (oggi alla Pinacoteca vaticana) per il cardinale Giulio De Medici, futuro Clemente VII, per la cattedrale di Narbona; l’opera fu poi completata dall’allievo Giulio Romano.

Fu l’ultima opera del Maestro, il quale ammalatosi raccolse i suoi discepoli più intimi, tra cui Giulio Romano, «il quale sempre molto amò», Giovan Francesco Penni detto il Fattore, ed un suo prete di Urbino, lontano parente. Ordinò loro che si restaurasse, a sue spese, un antico tabernacolo in Santa Maria alla Minerva, e si costruisse una statua della Vergine, che fungesse da sua tomba. Il 6 aprile del 1520, all’età di 37 anni, spirò quell’«anima del quale è da credere che come di sue virtù ha abbellito il mondo, così abbia di se medesima adorno il cielo. Gli misero alla morte al capo nella sala, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione, che aveva finita pel cardinal de Medici, la quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva faceva iscoppiar l’anima di dolore a ognuno, che quivi guardava; la quale tavola per la perdita di Raffaello fu messa dal cardinale a san Pietro a Montorio all'altar maggiore, e fu poi sempre per la rarità di ogni suo gesto in gran pregio tenuta. Fu data al corpo suo quell'onorata sepoltura, che tanto nobile spirito aveva meritato, perché non fu nessuno artefice, che dolendosi non piagnesse e insieme alla sepoltura non l’accompagnasse.

Fu Raffaello in ciascheduno de' doni della natura un vero miracolo. Primieramente tale fu la bellezza del volto e del corpo suo, che avrebbero potuto i discepoli di lui, discorrendo secondo la falsa opinione de' pittagorici affermare esser egli stato Apollo in forma di Raffaello; alla qual bellezza le doti d'animo si congiugneremo, troveremo non essere al tutto falsa la conclusione di coloro che pensarono non compatirli in un sol uomo sublimità d'ingegno e bruttezza di corpo. A quelle doti aveva egli congiunta una stupenda modestia con maravigliosa attrattiva, con cui a principio di suo parlare legava ogni cuore, anzi schiava si rendeva ogni volontà. Era liberalissimo dell'avere e del saper suo; talmenteché non ci pittore a' uoi tempi, a cui aiuto, consiglio o disegni per condurre sue opere abbisognassero, ch'egli, ogni altra propria occupazione lasciando, non sovvenisse. Per quelle nobilissime qualità, oltre al suo stupendo operare in pittura, non solo fecesi superiore ad ogni invidia, ma niuno tra' professori fu che in gran venerazione non lo avesse; e beato si chiamava chi poteva, anche senz'aver con lui che trattare, godere della presenza sua; tantoché non mai usciva in pubblico, che ei non fosse accompagnato da gran comitiva di virtuosi ed altri amatori delle bellissime doti sue.

Ebbe amici in ogni parte e particolar corrispondenza con Albert Dürer, che lo regalò del proprio ritratto di sua mano, al quale corrispose Raffaello con un donativo di proprj disegni.

Finalmente fu Raffaello da Urbino e per li doni della natura, e per l’industria nell'arte tale quale è stato fino al presente tempo, e qual sempre sarà nel concetto de' posteri, uno de' più degni e pregiati uomini, che mai avesse il mondo».

 

Articoli d’arte

«Alessandro Filipepi detto Sandro Botticelli, pittore fiorentino» secondo «Le notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci (1770)

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«Andrea Del Verrocchio, pittore, scultore ed architetto fiorentino» secondo le testimonianze di Filippo Baldinucci

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«Andrea Mantegna, pittor padovano» dalle «Notizie de’ professori del disegno» di Filippo Baldinucci

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«Antonio del Pollaiolo», pittore, scultore ed architetto fiorentino nelle testimonianze di Filippo Baldinucci

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«Domenico del Ghirlandaio, pittore fiorentino», nelle memorie di Filippo Baldinucci

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«Giuliano da Sangallo» nelle notizie storiche di «Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci

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«Leon Battista Alberti architetto» nel racconto delle memorie storiche di Filippo Baldinucci

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«Lionardo da Vinci, pittore» dalle «Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci

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«Piero di Cosimo, pittore fiorentino, così detto perché fu discepolo di Cosimo Rosselli» nella descrizione di Filippo Baldinucci

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domenica 7 novembre 2021

L’«Alchimia» nell’«Iconologia» di Cesare Ripa

 


In una stanza oscura, che presenta tante tele di ragno e del fumo, una vecchia deforme e con volto assai rugoso, colle mani arrossate, è vestita molto rozzamente. Intorno a sé, ha diversi crogioli e vasi di vetro di diverse grandezze e lambicchi, bacchette d’oro e d’argento ed altre ancora di diversi metalli. Ella è inginocchiata davanti ad un fornello, mentre per mezzo di una canna, soffia su una brace composta in un crogiolo. Sopra la testa, notiamo un pellicano, ai suoi piedi una cornucopia piena di rami e fronde di alberi, che non danno frutto, come il pioppo, l’abete e tutti quelli che sono disposti lungo i corsi d’acqua.

L’Alchimia è rappresentata come una signora assai vecchia, poiché la scienza alchemica trarrebbe origine dal mondo mitologico. Le sue mani sono bruciate dal calore, così come il volto, poiché il corpo dell’Alchimista si deforma, stando a contatto col Fuoco, diventando sgradevole a chi lo mira.

Il corpo dell’Alchimista di deforma, per trans – formarsi, essendo la scienza alchemica rivolta ad un cambiamento spirituale reale e quindi anche fisico.

Gli abiti sono molto dimessi, poiché l’Artista vive sempre in povertà, avendo consumato per avidità tutte le sue sostanze, col fine di rintracciare l’oro. Egli è simile a quel cane, protagonista di una favola di Fedro, che, dovendo trasportare sul fiume una preda, che teneva stretta in bocca, notò la sua immagine riflessa, che scambiò per un rivale. Al fine di conquistare anche la preda del nemico, perse la sua, scambiando l’inganno col vero.

La vecchia sta soffiando nella brace, che si trova nel crogiolo; ciò significa ch’ella trascorre il tempo, consumando la sua vista, essendo il fuoco assai dannoso per gli occhi. La vista fisica deve consumarsi, affinché possa aprirsi alla conoscenza la vista interiore o spirituale, rintracciata spesso nel terzo occhio. Finché non cadranno le illusioni del mondo reale, che si manifestano agli occhi dell’uomo, non si potrà vedere la realtà del mondo dello spirito.

Il pellicano denota la pazzia e l’imprudenza dell’Alchimista. L’animale infatti, a differenza degli altri uccelli, che costruiscono il loro nido in cima agli alberi, si rivolge ai piani più bassi e depone le uova sottoterra, cosicché sono facilmente preda dei contadini, che solitamente appiccano il fuoco, onde bruciarle. Il pellicano allora, al fine di spegnere le fiamme, si conduce sovra di esse e muove velocemente le ali; agitando il vento, concorre all’accrescimento della fiamma, cosicché rimane bruciato, morendo insieme ai figli.

La Cornucopia, colma di fronde e rami d’alberi infruttiferi, chiarisce come l’Alchimia sia un’arte di grande apparenza ed alcuna sostanza materiale.

L’ambiente assai inospitale rappresenta l’interiorità dell’uomo, che, a volte, non sa cosa ci sia all’interno di sé, perché voltato e votato verso tutto ciò che è altro.

L’oscurità è la dimensione spirituale, da cui parte l’alchimista: l’iniziale buio interiore, in cui è nascosta la fiamma della vera conoscenza.

La presenza di alcune tele di ragno sono i risultati degli sforzi, che non hanno portato dei risultati, poiché infiniti i tentativi, al fine di giungere all’Oltre.

Il fumo declina la perdita di tempo e di sostanze, che sembrerebbe significhi l’arte dell’alchimista. Bisogna perdere il tempo, per proiettarsi sul piano spirituale nell’a – tempo, sconfiggendo così  Κρόνος, l’inizio e la fine della vita terrena, e partecipando al vortice inarrestabile di ἐνιαυτός, l’infinito ritorno.

La parola kīmiyā’ significherebbe anche occultare e quindi Scientia operum naturae, tradotto poi erroneamente in magia e, dalla trasmutazione dei metalli, metallurgia. In Genesi 4, 17 è scritto: «Tubal-Kain, il fabbro, padre di quanti lavorano il bronzo e il ferro», iscrivendolo, simbolicamente, quale inventore dell’Alchimia, che fu coltivata in Egitto, presso cui Mosè (Atti 7, 22) «fu educato in tutta la sapienza ed era potente in parole e in opere».

Ermete Trismegisto
Forse la Scienza alchemica fu nota ad Ermete o Mercurio Trismegisto, coetaneo di Mosè ed uno dei primi inventori dopo il mitico Diluvio universale, di tutte le Arti liberali e meccaniche. L’Alchimia sarebbe sopravvissuta col trascorrere dei secoli, fin quando Diocleziano, nel III secolo d. C., ordinò la distruzione di tutti i testi e l’abolizione della pratica, non ottenendo il tanto auspicato risultato, poiché la Scienza alchemica continuò ad essere studiata e praticata.

Cornelio Agrippa (1486 - 1536)
Cornelio Agrippa (1486 – 1535) nel libro De Occulta Philosophia, affermò di esser riuscito a tramutare in Oro gli altri metalli imperfetti. Pico della Mirandola nel De Auro, illustrò molte esperienze alchemiche vissute personalmente.

 




L’«Abbondanza» secondo l’«Iconologia» di Cesare Ripa

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L’«Adulazione» nell’«Iconologia» di Cesare Ripa

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L’«Adulterio» secondo l’«Iconologia» di Cesare Ripa

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L’«Affabilità» secondo l’«Iconologia» di Cesare Ripa

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L’«Affettazione» nell’«Iconologia» di Cesare Ripa

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L’«Aiuto divino» nell’«Iconologia» di Cesare Ripa

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L’«Aiuto» dall’«Iconologia» di Cesare Ripa

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sabato 6 novembre 2021

«Mio figlio professore» di Renato Castellani

 


Il neorealismo cinematografico ha inizio, ufficialmente, nel 1943, quando Luchino Visconti dirige “Ossessione”. Non fu un movimento compatto, ma visse delle spiccate personalità dei suoi rappresentanti, uniti dalla ricerca di un nuovo linguaggio espressivo, attraverso il quale esprimere condizioni e realtà delle classi disagiate, in un contesto di forte impegno sociale. Spesso la troupe girava in esterni, considerato anche il grave declino, in cui versavano gli stabilimenti di Cinecittà; entravano nel cast attori non professionisti, che recitavano con grandi artisti del cinema. Comune il ricorso a colonne sonore estremamente eleganti, che ricordavano vagamente il gran mondo del melodramma, con cui contribuire a caratterizzare l’elemento interpretativo. L’attenzione della trama si concentrava sui piccoli fatti quotidiani, anche il racconto dei dettagli della vita rivelava un linguaggio interessante all’occhio del regista.

In “Mio figlio professore”, diversi sono gli esponenti neorealisti, a cominciare dal bravissimo regista, Renato Castellani; Suso Cecchi D’Amico (sceneggiatore di “Ladri di Biciclette”); Aldo Fabrizi (sceneggiatore ed interprete di “Roma città aperta”); lo scrittore Ennio Flaiano (impiegato come attore).

Il film si sviluppa sulle incredibili capacità espressive di Aldo Fabrizi, capace di toccare dalle corde drammatiche a quelle comiche. Ci presenta un’evoluzione nel tempo sincera del personaggio, che vorrebbe tanto riscattarsi attraverso il figlio. Una prova da grandissimo attore.

Il contesto, in cui si svolge il racconto, è un Liceo di Roma, protagonista un bidello: Orazio (Aldo Fabrizi)…ma, facciamo silenzio: inizia il film!

Ci troviamo all’inizio dell’anno scolastico 1919 – 1920, il protagonista è un umile bidello di un Liceo del centro storico di Roma: Orazio Belli.

Il professore, con voce grave ed andamento severo, sta terminando la sua lezione e la classe è in attesa del finis. Anche la classe di ginnastica, diretta dal professor Ettore Giraldi (Mario Pisu) continua la sua marcia instancabilmente; il professor Cardelli (Mario Soldati) continua la sua lezione di greco ad una classe davvero stanca e disattenta, infatti il severo docente deve alzare la voce, per richiamarne l’attenzione. Improvvisamente, Orazio Belli esce dalla sua casa – guardiola, annunciando a tutti la nascita del figlio; la gioia espressa da Aldo Fabrizi è davvero contagiante (aiutato anche dalla colonna sonora del Maestro Nino Rota): corre per le scale, perché tutto l’Istituto conosca il felice evento. Un docente (Ercole Patti) gli chiede il nome, il bidello risponde che si chiamerà Orazio come lui e che “da grande” sarà professore di latino.

Si forma una coda festante di professori ed alunni, che si precipitano lungo le larghe scale; l’uso del campo lungo è estremamente funzionale all’idea.

Orazio invita prima i professori in casa, mentre i ragazzi attendono fuori.

Si conclude qui la prima sequenza.

Siamo in primavera. Orazio accompagna all’uscita della scuola una deliziosa professoressa, la signorina Maggi, insegnante nelle scuole serali (Pinuccia Nava), spiato dal suo più stretto collaboratore, Andronio. Quindi, invita gli studenti, che sono raggruppati fuori l’istituto, ad entrare: scena di massa molto movimentata; il professor Cardelli sorprende due suoi allievi, che copiano e li rimprovera aspramente; un’insegnante approfitta della gentilezza di Andronio e gli chiede di recarsi al bar, per recarle un caffè “con una goccia di latte”. Il preside ordina al bidello che “alle 8 precise il cancello deve essere chiuso. Chi c’è, c’è; chi non c’è, non c’è”.

Iniziano le vacanze, l’istituto è vuoto; Orazio, rimasto vedovo, con accanto il figlioletto, cerca frescura sotto il porticato, quando viene raggiunto da Andronio, il quale lo consiglia di prender moglie, Orazio non accetta.

Egli è in attesa di ricevere una gentile signorina (la signorina Maggi) e s’imbrillantina i capelli, per apparire in ordine e forse più seducente. Arriva l’ospite, ha con sé delle camicie per il piccolo Orazio; entrando in casa si dirige immediatamente dal bimbo. La camera, in piano medio, stringe su Fabrizi, che osserva quella gentile signorina, che stringe tra le braccia suo figlio ed immagina che sarebbe davvero bello, se diventasse sua sposa e madre.

Tra i due nasce un dialogo di leggeri sottintesi: è chiaro che lei piace a lui e forse lui piace a lei. Orazio le confessa che, forse, potrebbe essere il momento di risposarsi; per la signorina Maggi non sarebbe un’idea completamente sbagliata; vivere da soli per tutta la vita sarebbe  davvero un’impresa eroica. Orazio non sa cosa rispondere e così mette insieme delle parole senza senso, fin quando la signorina lo interrompe, per comunicargli che deve andar via: il papà le ha ordinato di rincasare presto.

“Torna domani?”

“Ma, naturalmente. Domani parleremo di tutto…”

E così si allontana.

E’ domenica! Ci troviamo in un parco pubblico, dove sono riunite diverse famiglie ad ascoltare il concerto della Banda dei Carabinieri, impegnata nell’esecuzione della Sinfonia de “L’assedio di Corinto” di Gioachino Rossini. Anche Orazio è presente con il figlio (che ha cinque mesi) e così è avvicinato da un signore, elegantemente vestito, già iscritto alle scuole serali. Egli è rappresentante di penne stilografiche, che presentano una novità: l’inchiostro è all’interno di una cartuccia, allocata dentro la penna. Orazio avrebbe intenzione di acquistarla per il figlio, che diventerà professore ed è convinto dall’abile affabulatore, il quale, preso il contante, immediatamente lascia il bidello. 

Orazio col venditore di stilografiche

Mentre l’orchestra suona il Preludio de “La Traviata” di Giuseppe Verdi, ecco la signorina Maggi, al braccio di un uomo elegantemente vestito, il suo fidanzato, il professor Giraldi, col quale si trasferirà a Milano, perché si è impegnato nel nuovo movimento politico, il Partito Nazionale Fascista. Le speranze di Orazio sono ormai perdute per sempre; un sorriso malinconico si spegne sul volto di Aldo Fabrizi. Sulle ultime note del preludio de “La traviata” si salutano tristemente.

E’ arrivato un nuovo anno scolastico, nulla di nuovo per il nostro protagonista: ragazzi che si trastullano fuori dell’edificio, professori che arrivano alla spicciolata ed egli sulla porta ad invitare bruscamente gli allievi ad entrare. Oggi è un giorno assai importante per il piccolo professore: anche per lui è arrivato il primo giorno di scuola. Con visibile orgoglio, Orazio consegna la famosa stilografica al figlio e tenta di spiegarne l’uso. Purtroppo, si accorge immediatamente di non esserne in grado e così s’impiastriccia le mani d’inchiostro davanti allo sbalordito piccolo professore: a scuola senza penna 

Orazio con la stilografica

Il padre raccomanda al figlio di studiare, perché deve diventare un insegnante (ecco il riscatto sociale).

Gli anni passano velocemente: il piccolo professore ora è studente di Media inferiore e sta ripetendo la prima declinazione latina; Orazio vorrebbe aiutarlo e così chiede al figlio di ripetergli ciò che stava studiando. Il piccolo professore con incredibile sicurezza e velocità ripete la prima declinazione, Orazio immediatamente lo corregge:

“Ros – a. Ros – ae…”

“Papà, si scrive rosae, ma si dice rose”

“Ma se se dice rose, scrivessero rose!”

Orazio pensa a rigovernare la cartella del figlio, abbandonando il proposito di aiutarlo nello studio.

Ora è solo; si guarda nel grande specchio della camera e nota i primi capelli bianchi; un velo di tristezza emanano i suoi occhi grandi e buoni.

Finalmente il piccolo professore frequenta il Primo Liceo Classico, nella scuola, dove il papà svolge l’attività di bidello. Il professor Cardelli (insegnante di greco e latino) lo interroga; il ragazzo timidamente si accosta alla cattedra del docente e risponde molto bene a tutte le domande. L’insegnante comunica che sarà trasferito a Campobasso, così paga la sua militanza antifascista. L’interpretazione di Mario Soldati è assai commovente; rivela un uomo debole, triste e tanto deluso. Il tono della voce è quasi nasale, le battute sono divise da lunghe, commoventi pause. L’annuncio è ascoltato in silenzio e provoca un sentimento di grande emozione negli allievi.

Il piccolo professore si reca in biblioteca, onde ritirare un libro. Si avvia verso il lungo tavolo, per prendere posto ed incontra una compagna di banco, che lo invita a sederle vicino.

Sembra che i due cuori battano l’un per l’altro. Commentano la brutta notizia del trasferimento del professor Cardelli; il regista Castellani usa il primo piano, per mostrare meglio come i due dialoghino senza guardarsi negli occhi. Improvvisamente, qualcuno chiude il libro della bella ragazza: è il padre, che le impone di recarsi immediatamente a casa ed ammonisce Orazio a non frequentare più la figlia, essendo il padre un bidello.

Orazio padre comunica al buon Cardelli che il figlio vorrebbe rinunciare allo studio. Il docente pretende delle spiegazioni; poi, ritiratosi con lo studente, comunica al padre che sarà meglio che anche il figlio si trasferisca a Campobasso.

Alla Stazione Termini, il saluto tra padre e figlio; un sorriso forzato ed il treno inizia la sua lenta corsa verso una nuova destinazione.

Il tempo passa, caro Orazio, i baffi ed i capelli, che erano nero corvino, iniziano a tingersi di bianco.

Una mattina Orazio e Andronio escono dalla Questura: la sera prima si sarebbero ubriacati in qualche osteria di Roma, essendo stato trattenuto, non ha potuto aprire il portone della scuola, operazione svolta dal Preside. La scuola sta attendendo la visita di un’alta personalità, inviata dal Ministero; egli ispeziona ogni classe, seguito dal preside e da un discreto gruppo di docenti estremamente ossequiosi. Orazio bussa alla porta della Presidenza ed apre appena: il preside non c’è, ma una signorina. …la guarda… poi esce: quella signorina gli ricorda… chi? Torna indietro, poi spia dal buco della serratura, mentre la voce del preside, accompagnato da Sua Eccellenza e dal codazzo dei professori, lo richiama severamente. Sua Eccellenza è il professor Ettore Giraldi, accompagnato anche dalle tre figliuole, tra cui quella discreta signorina, che tanto interesse aveva suscitato nel nostro protagonista. Ora riconosce nel volto della signorina Pinuccia, che aveva appena intravisto nell’aula della Presidenza, le sembianze della ormai deceduta cara signorina Maggi, che tanto gli aveva fatto battere il cuore. Saranno studentesse del Liceo, dove il padre è stato insegnante di educazione fisica. Sua Eccellenza chiede ad Orazio notizie del figlio e così sappiamo che insegna al Liceo Settembrini di Foggia.

Raffaele Pisu caratterizza il suo personaggio con una recitazione scandita, con movimenti piccoli e decisi, rivestendo di marzialità ol ruolo, che impersona.

Le ragazze sono in ritardo e, trovando il cancello chiuso, pregano Orazio di aprire e si precipitano in aula.

Gli anni passano, ce ne accorgiamo anche dalla recitazione dello straordinario Fabrizi, che mostra difficoltà a deambulare, e si muove sempre più lentamente. Ora ospita nella casa – guardiola una gallina, che gira da padrona nel piccolo appartamento, nel quale s’intrufola Pinuccia, che mette gli occhi su una fotografia, incorniciata ed esposta in una camera. Chiede ad Orazio chi siano i ritratti ed orgogliosamente le indica il figlio, di cui mostrerà altre foto. Mentre Pinuccia estrae da una scatola i ricordi del professore, gli occhi di Aldo Fabrizi commentano con struggente malinconia tutto il passato del figlio, che vive così lontano da Roma. Orazio, allora, si abbandona ai ricordi e racconta alla giovane della mamma di Pinuccia, che aveva assistito il figlio; poi, conduce la ragazza di fronte allo specchio, passa uno straccio sul vetro, chiede di specchiarsi:

“Ecco tua madre”.

Orazio, deluso ed arrabbiato, apre il grande cancello della scuola; ha lo sguardo severo ed immediatamente un nutrito gruppo di studenti gli si avvicina. Qualcuno gli chiede, se sia arrivato il figlio; egli tira avanti e non risponde, poi caccia in malo modo il gruppo, che si è preso burla di lui. Rincasa, stanco, triste, guarda i festoni, con cui aveva cercato di rendere l’ambiente allegro. Si siede e capisce che è stato uno scherzo di pessimo gusto, essendo il primo aprile. Allora e solo allora comprende che gli è stato tirato un bruttissimo colpo: per festeggiare il primo aprile, qualcuno gli aveva detto che sarebbe arrivato il figlio a Roma; lui si è precipitato alla Stazione, ma del figlio neanche l’ombra.

Arriva una lettera dal distretto militare: Orazio Belli dovrà presentarsi, per sostenere le visite mediche. Intanto, le tre figliuole di Sua Eccellenza importunano l’augusto padre, perché, attraverso un suo autorevole intervento, eviti il servizio militare al figlio di Orazio. Di fronte al rifiuto paterno, le figlie cambiano strategia. Dal momento che la figlia Liana, ha un’insufficienza in lingua latina, perché non trasferire il professor Orazio nel liceo romano?

E arriva il grande giorno, in cui il Professor Orazio Belli (Giorgio De Lullo) fa il suo ingresso a scuola; Andronio lo riconosce e immediatamente avvisa il papà. L’abbraccio è pieno d’affetto da parte di Fabrizi, un po’ compassato e forse di maniera quella del figlio, il quale comunica, all’incredulo padre, che soggiornerà in albergo. Peccato! Ora che Orazio padre aveva ammobiliato interamente la camera per il figlio professore. Pinuccia conosce così il suo nuovo professore di Materie letterarie, ch si offre di accompagnare alla fermata d’autobus, poiché il professore è diretto al Ministero, per il disbrigo di alcune pratiche, legate al suo trasferimento.

Orazio, intanto, prepara il pranzo; vorrebbe anche della carne, allora Andronio suggerisce di uccidere la gallina, che, da tanto tempo, abita in casa. L’animale, annusato il pericolo, riesce a sfuggire alla morte.

Il professore Orazio chiede al padre chi sia stato l’artefice del suo trasferimento di cattedra; egli suppone che sia stato Sua Eccellenza, Giraldi; se ciò fosse vero, ne sarebbe vivamente scocciato. Il padre ammette di aver chiesto a Giraldi un intervento, per esentarlo dal servizio militare. L’intervento paterno non suscita entusiasmo nel giovane docente, il quale crede che ci sia stato anche un intervento, perché fosse trasferito a Roma. Credeva di aver meritato la promozione ed invece è stata la solita raccomandazione.

E’ tempo d’esami; degli studenti spiano, per sentire le domande, che la commissione esaminatrice sottopone agli esaminandi; Orazio allontana tutti. E’ il turno di Diana Giraldi. L’atteggiamento dei Commissari è estremamente controllato: si tratta della figlia di Sua Eccellenza; l’unico a conservare quel piglio severo e deciso è il professor Belli, che provocherà l’ennesima bocciatura dell’esaminanda.

Una lettera è giunta al Ministero della Pubblica Istruzione: il professor Belli ha descritto come sia stato trasferito a Roma e, reputando disdicevole un comportamento simile, chiede che sia assegnato nuovamente al liceo Settembrini di Foggia. Il funzionario vorrebbe parlare con il professore, ma all’appuntamento si presenta il padre, che giustifica l’assenza del figlio, comunicando che si trova a Foggia. Orazio riceve dei bellissimi complimenti per l’azione del figlio, educato a nobili principi e così sarà definitivamente trasferito a Roma, come riconoscimento dei suoi veri meriti.

Siamo nel Dopoguerra, ma l’atmosfera intorno al Liceo non è cambiata; un ragazzino vende delle sigarette di contrabbando; Orazio compie la sua fatica quotidiana nell’invitare gli studenti ad entrare.

Egli è incaricato del finis, così si riordina i capelli, si accarezza i baffi, si sistema il cappello ed entra nell’aula, dove sta tenendo la lezione il figlio professore. Gli studenti guadagnano rapidamente l’uscita, mentre il papà vorrebbe mettere fretta al figlio, perché consumi il pranzo. Il professore chiede al padre che parli con Andronio, perché lo tratti con meno familiarità soprattutto in presenza degli allievi, onde evitare di trarlo in imbarazzo. Il padre capisce che quelle richieste sono rivolte a lui; si sente in difficoltà: ha lavorato tanto, perché il figlio diventasse professore, ed ora? Questo figlio, irriconoscente, gli chiede un comportamento non da padre, ma professionale; come potrà accettarlo? Resosi conto dello stato di difficoltà, in cui versa il padre, il professore chiede di evitare che parli con Andronio:

“Lui agisce con affetto. Che ci vuoi fare, papà; il mondo è fatto così”.

Allora, Orazio capisce che quella convivenza genera problemi al figlio professore. Decide di trasferirsi per un numero imprecisato di giorni a Monterotondo, a casa della sorella e lo comunica all’amico Andronio, al quale raccomanda di non disturbare il figlio, di non rivolgersi con il tu.

“E poi, quanno vai a dà er finis, nun te devi appoggià, lo devi dà come se fosse uno qualunque. E poi, via. Anche se, in quel momento te vie’ l’istinto de abbracciallo, d’annà lì, de daje ‘n bacio, te devi accontentà de immaginalle certe cose. Devi annà via, giù; nun se pò.”

Un ultimo sguardo alla sua casa – guardiola. Accetta l’ultimo sacrificio: rinunciare alla scuola, prima però: finis!

 

Articoli di cinema

아리랑아리랑아라리요… (Arirang, arirang, arariyeo)

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Il Casanova di Fellini

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Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini

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Lo sceicco bianco di Federico Fellini

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Mastroianni secondo Fellini

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Pieta di Kim Ki Duk

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Poetry di Lee Chang Dong

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Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci

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Una giornata particolare di Ettore Scola

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Signori si nasce

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