martedì 12 ottobre 2021

«Lionardo da Vinci, pittore» dalle «Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci


 

Leonardo nacque nel 1452 «di ser Piero nel castello di Vinci porto in Valdarno di sotto, non troppo discosto da Firenze» e, grazie ad un ingegno vivo e fecondo si dedicò a più genere di studi. «infatti non si tosto ebb'egli intrapreso il corso delle lettere, che si rivolse all'aritmetica, e in quella facendo non leggier profitto, dopo alcuni pochi mesi di scuola muovea certe ardue quistioni che sovente imbarazzavano il proprio di Lui maestro». Si dedicò quindi agli studi musicali, alla lira ed al canto e, poi, al disegno, «onde ser Piero suo padre, ch'invigilava sugli andamenti del figlio e che quali per barlume scopriva l’elevazione d'ingegno, che il figlio suo aveva in tal facoltà, tolti di soppiatto alcuni  disegni da lui fatti, li recò ad Andrea del Verrocchio suo grande amico, per consultarlo, se veramente Lionardo fosse dalla natura chiamato alla difficile arte del disegno, dimodoché foss'egli per farvi un giorno notabile riuscita».

Andrea Del Verrocchio (1435 - 1488)

Il Verrocchio consigliò vivamente che il giovane Leonardo si applicasse allo studio del disegno presso la sua Bottega, ospitandolo in casa sua, dove poté istruirsi alla pittura (geometria, architettura, idrostatica); «e fu il primo tuttoché giovanetto, che, decorrendo sopra il fiume Arno, proponesse di metterlo in canale da Pisa a Fiorenza; opera mirabile, che fu poi eseguita circa dugento anni dopo da Vincenzio Viviani bravo matematico e ultimo scolare del gran Galileo». Il suo genio si rivelò principalmente nella pittura. Il Verrocchio era stato impegnato nel dipingere il Battesimo di Cristo
Andrea Del Verrocchio- Battesimo di Cristo (Uffizi)
 per i monaci di Vallombrosa in San Salvi (oggi agli Uffizi); «ordinò a Lionardo che vi facesse un angelo in atto di tenere alcune vesti ed egli lo eseguì così mirabilmente che superava la bellezza tutte le altre parti del quadro; onde Andrea alla vista di tanta virtù in un fanciullo non volle mai più maneggiar colori, e tutto si rivolse alla scultura».

Terminato l’apprendistato presso la Bottega del Verrocchio, disegnò quindi un cartone di Adamo ed Eva (oggi perduto) per il re del Portogallo. «Doveva quel cartone servir d'esemplare per essere ricopiato sopra una portiera, la quale tessuta in oro e seta avevasi a lavorare in Fiandra, ma che altrimenti non si fece; e il cartone a' tempi del Vasari era in casa del magnifico Ottaviano de' Medici, a cui fu regalato da uno zio di Lionardo».

Leonardo - Madonna del Garofano (Alte Pinakothek, Monaco)

Dedicò la Madonna del Garofano (1473 ca.) (oggi alla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera) a Papa Clemente VII De Medici «e vi contraffece essa una caraffa con alcuni fiori dentro vivacemente espressi».

Leonardo - Nettuno in mezzo al mare (Royal Librey di Windsor)

Al suo amico, Antonio Segni, disegnò, nel 1504, un Nettuno «in mezzo a’ mare in procella sopra un carro tirato da cavalli marini con orche, tritoni, e teste di Dei pur marini; lavoro pregiatissimo, in cui al suo solito impiegò somma diligenza, unita ad un finimento inarrivabile».

Leonardo dimostrava una viva curiosità per le «cose bizzarre ed alterate; onde se s'imbatteva in qualche viso strano, espressivo o ridicolo, tanto colla vista il seguiva, finché si fosse altamente impresso nella mente un simile oggetto, ch'egli poi giunto a casa tosto prendevasi a disegnare».

Leonardo - Adorazione dei Magi (Uffizi, Firenze)

Iniziò a disegnare un’Adorazione dei Magi per i monaci di San Donato a Scopeto (oggi agli Uffizi), lasciandola incompiuta: «simile inconveniente di non terminare le cose sue avvenne spesso a Lionardo, perché troppo era egli difficile nel contentarsi de' suoi lavori, studiandovi sempre delle cose nuove per migliorargli; onde sovente non potendo corrispondere la eccellenza dell'esecuzione alla perfezione delle sue idee se ne disgustava e gli abbandonava. Aggiungasi inoltre la varietà grandissima delle sue studiose applicazioni, che a vicenda il tenevano occupato, consumando in esse una parte notabile di quel tempo, che avrebbe potuto dare alla pittura. L'ingegno suo vivace, e feracissimo non gli permetteva, siccome già prima accennato abbiamo, di rimanersi qualche spazio di tempo senza immaginare alcuna novità, dietro cui correndo lasciava alle volte a quel segno in cui si trovavano le già incominciate opere».

Ai suoi interessi per la scultura, la pittura, la musica, si integrò lo studio perfino dell’astronomia e «fece delle osservazioni sopra il moto delle stelle».

Compose anche un sonetto, da cui rileviamo «l’ingegno e il carattere di Lionardo; e se la poesia non compare ornata di vezzi e di leggiadria, ella è soda però, grave, e ripiena d'alti concetti e di profondi pensieri. Il mentovato sonetto è concepito ne' seguenti termini»:

Chi non può quel che vuol, quel che può voglia;

Che quel che non si può, folle è volere.

Adunque saggio l’huomo è da tenere,

Che da quel che non può suo voler doglia,

 

Però ch’ogni diletto nostro, e doglia,

Sta in si, e no, saper voler potere.

Adunque quel sol può, che co ’l dovere.

Ne trahe la ragion fuor di sua soglia.

 

Nè sempre è da voler quel che l’huom puote.

Spesso par dolce, quel che torna amaro.

Piansi già quel ch’io volsi, poi ch’io l’hebbi.

 

Adunque tu lettor di queste note

S’a te vuoi esser buono, e a gl’altri caro.

Vogli sempre poter quel che tu debbi.

(Questo sonetto, in verità, sarebbe attribuito a Leonardo).

Fu un esperto cavallerizzo, si distinse con le armi, per cui attirava l’attenzione di tutti, grazie anche al fascino che emanava la sua persona. La sua fama si accrebbe notevolmente, da essere invitato da Lodovico il Moro, Duca di Milano, (1452 – 1508). Leonardo accettò l’invito, recando con sé il suono della lira, oltre che ai suoi mirabili ragionamenti, che ben presto conquistarono il Duca, che gli assegnò un appannaggio di 500 scudi, lo promosse capo dell’Accademia delle arti, da cui Leonardo proibì – come primo provvedimento – la maniera gotica.

Leonardo - Ultima cena (Santa Maria delle Grazie, Milano)
 

Rese navigabile il tratto dell’Adda tra Milano e le valli di Chiavenna. Quindi gli fu commissionato, per il Convento delle Grazie, l’Ultima cena (1494 – 98), che fu condotta «a olio pel riflesso di potervi impiegare tutto il tempo, ch'egli avrebbe voluto, e in effetto mai non cessò di lavorarvi fino a tanto, che non fu essa ridotta a quell'alto legno di perfezione, per cui da tutti fu con ragione stimata il miracolo  della pittura. Su essa spiegò quel grande ingegno tutte le finezze dell'arte e vi fece vedere rara perfezione nel disegno, diligenza nel colorito, e maestosa nobiltà nel componimento. Riuscì il dotto pittore a maraviglia nell’esprimere il sospetto  e la dubbietà degli appostoli nell’atto di considerare che fra di loro vi fosse pure colui che avrebbe tradito il divino Maestro. Leggesi chiaramente in volto a ciascheduno l'ammirazione, l'orrore, il sospetto, l’affanno e nella faccia del perfido Giuda il già meditato tradimento. In somma con inarrivabile espressione ritrasse i visibili segni cagionati nell'esterno del corpo da' moti violenti dell'anima; parte tanto delicata e per la somma sua difficoltà poco praticata nella pittura. Sopra quello cenacolo un bel passo incontriamo nel discorso di Giraldi Cintio sopra i romanzi, il qual passo è per appunto il seguente:

«Giova al poeta far quello, che soleva fare Leonardo Vinci eccellentissimo dipintore. Questi, qualora voleva dipingere qualche figura, considerava prima la sua qualità, e la sua natura; cioè se doveva ella esser nobile o plebea, giojosa o severa, turbata o lieta, vecchia o giovane, irata o di animo tranquillo, buona o malvagia; e poi, conosciuto l’esser suo se n'andava, ove egli sapeva, che lì radunassero persone di tal qualità, e osservava diligentemente i lor visi, le lor maniere, gli abiti, e i movimenti del corpo e trovata cosa, che gli paresse atta a quel che far voleva , la riponeva collo stile al suo libriccino, che sempre egli teneva a cintola. E fatto ciò molte volte e molte, poiché tanto racolto egli aveva, quanto gli pareva bastare a quella immagine, ch'egli voleva dipignere, si dava a formarla, e la faceva riuscire maravigliosa. E posto che egli quello in ogni sua opera facesse, il se con ogni diligenza in quella tavola, che egli dipinse in Milano nel convento de' frati predicatori, nella quale è effigiato il Redentor nostro co' suoi discepoli, che fono a mensa.

Mi soleva dir messer Cristofaro padre, che fu uomo di acutissimo giudizio e di grandissimo discorso, quando del comporre egli meco ragionava , il che era sovente, ch'avendo il Vinci finita l'immagine di Cristo, di undici discepoli, egli aveva dipinto il corpo di Giuda solo infino alla testa, né più oltre procedeva. Laonde i frati di ciò si lamentavano col duca, il quale per quella dipintura dava gran premio al Vinci. Il duca intesa la querela de' frati, fe’ chiamare a sé Lionardo e gli disse che si maravigliava ch'egli tanto prolungasse il fine di quella dipintura. Gli rispose il Vinci, ch'egli si maravigliava  che sua eccellenza di ciò si lamentasse, perché non passava mai giorno ch'egli intorno non vi spendesse due ore intere. Acquetossi il duca a quelle parole e tornando i frati a querelarsi della tardanza del Vinci, disse egli loro che n'aveva parlato con lui e che gli aveva risposto che non era mai giorno ch'egli non spendesse intorno a quella tavola due ore.

A cui dissero i frati: signore, vi resta solo a fare la testa di Giuda, che tutte le altre immagini sono compite e avuto rispetto al tempo ch'egli ha speso in far le altre teste, se vi lavorasse due ore di un giorno, come dice a vedrà eccellenza, che fa, sarebbe ormai compita tutta la tavola, ma è più d'un anno intero, che non è dato a vederla, non che vi abbia messo mano. Allora il duca adirato mandò a dimandare il Vinci, e con viso turbato gli disse: Che è quello  che mi dicono quei frati? Tu mi di' che non passa mai giorno che tu non spenda due ore intorno alla tavola, e essi mi dicono che è più d'un anno, che tu non sei stato al lor convento. Il Vinci allora disse: Che sanno quelli frati di dipignere? Dicono il vero, che è gran tempo, che io non sono ito là; ma non dicono già vero, negando che io non spenda ogni giorno almeno due ore intorno a quella immagine. E come può egli ciò essere, disse il duca, se non ci vai? Allora il Vinci quasi ridendo rispose: Signore eccellentissimo, restami a far la testa di Giuda, il quale è stato quel gran traditore, che voi sapete; e però merita essere dipinto con viso, che a tanta scelleraggine si confaccia quantunque io ci avessi potuto aver molti tra quelli che mi accusano che li sariano maravigliosamente simiglianti a quel di Giuda; nondimeno per non gli far vergogna di lor medesimi, ha già un anno, e forse più, che ogni giorno, sera e mattina, mi son ridotto in Borghetto, ove abitano tutte le vili e ignobili persone, e per la maggior parte malvage e scellerate, solo per vedere, se mi venisse veduto un viso, che fosse atto a compir l'imagine di quel malvagio; né infino ad ora io l’ho potuto trovare.

Torto che egli mi verrà innanzi, in un giorno dato fine a quanto mi avanza a fare. O se forse noi troverò, io vi porrò quello di questo padre priore, ch'ora mi è sì molesto, che maravigliosamente gli si confarà. Rise il duca a quelle ultime parole del Vinci e restò appagato di quanto egli gli disse; e conosciuto con quanto giudizio egli componeva le sue figure, non gli parve maraviglia che quella tavola riusciva negli occhi del mondo così eccellente.

Avvenne dopo quelle parole, che un giorno gli venne per ventura veduto uno, che aveva viso al suo desiderio conforme e egli subito, preso lo stile, grossamente il disegnò, e con quello e con le altre parti, ch'egli in tutto quello anno aveva diligentemente raccolte in varie facce di visi e malvage persone, andato ai frati, compì Giuda con viso tale che pare, ch'egli abbia il tradimento scolpito nella fronte».

Il Padre bibliotecario delle Convento delle Grazie di Milano stilò un rapporto per monsignor Bottari, riportato nelle note della vita di Leonardo.

«Essa è concepita ne' seguenti termini: Quantunque non si sappia precisamente quanto tempo impiegasse Leonardo da Vinci nella celebre dipintura da esso fatta nel refettorio de' padri Domenicani del convento delle grazie di questa città, si sa però di certo ch'egli nel 1497 attualmente la dipingeva, leggendosi in certo libricciuolo esistente nell'archivio di detto convento ed il qual libricciuolo dinota essere quello appunto, in cui  l’architetto o capomaestro segnava le partite de' suoi crediti con il signor Ludovico Maria Sforza duca di Milano, per le opere da esso duca fatte fare tanto nel suddetto convento, quanto altrove, leggendosi, dico, alla pag. 16 a tergo la seguente partita: Item per lavori fatti in loro refettorio, dove depinge Leonardo si appostoli con una finestra 37.16. 5.

Una sì pregievole dipintura, come ognuno sa, circa un secoli dopo era quasi smarrita; e col succeder degli anni talmente s'era guasta che perduta forse qualunque speranza di riacquistarla, né curando più tanto tesoro, pensarono i religiosi del mentovato convento di alzare e dilatare la porta del medesimo refettorio, la qual era assai bassa ed angusta; e per tal cagione tagliando il muro, hanno tagliate le gambe ed i piedi all' immagine, che sta nel mezzo di Gesù Cristo e degli apostoli a lui vicini, come in fatti di presente si vede.

Finalmente per buona forte l'anno 1725, essendo priore del medesimo convento il padre maestro Tommaso Bonaventura Boldi da Castelnuovo di Scrivia, uomo rispettabile pel suo merito e sapere, il quale successivamente era stato inquisitore di Tortona, di Como e di Milano, vi fu il signor Michel'Angelo Belletti pittore Milanese, che con un suo particolare segreto si esibì di ricavare fuori un'altra volta la sopraddetta dipintura. Il mentovato padre priore e gli altri religiosi del medesimo convento graziosamente accettando la sua esibizione e fatta fare con prospero successo in alcuna parte della stessa dipintura la sperienza del segreto, affidarono del tutto al detto eccellente dipintore l'impresa, nella quale, siccome ognuno ora vede, felicemente ne riuscì. Da' medesimi priore e religiosi, fu in qualche modo riconosciuta del detto dipintore la singolare operazione, avendo ad esso regalata, siccome costa da' libri delle spese del convento, la somma di lire cinquecento, ed esso signor Bellotti con molta sua finezza comunicò a' padri suddetti per ogni evento il segreto».

Nello stesso refettorio, Leonardo ritrasse il duca Lodovico con il figlio primogenito, Massimiliano e la duchessa Beatrice coll’altro figliuolo, Francesco.

Sempre innamorato del sapere e votato alla ricerca della perfezione nelle opere sue, Leonardo non dismise mai la bella pratica di dedicarsi gli studi, anche nel periodo della maturità. Si dimostrò così attento nell’elaborare i suoi capolavori, che impiegava molto tempo e per ciò  sarebbe stata essenziale la produzione pittorica.

Nel Trattato di pittura (1540), espose i precetti e consigliò i giovani studenti di non sentirsi appagati già dai primi studi e di mirare a comporre poche opere ma di qualità, distinguendole nettamente nei tratti una dall’altra. Quindi aggiunse:

«Dilettisi il pittore ne' componimenti delle storie della copia e varietà, e fugga il replicare alcuna parte, che in essa fatta sia, acciocché la novità e abbondanza attragga a sé, e diletti l'occhio del riguardante».

Amava ritrarre la natura e così invitava i giovani pittori ad esercitarsi nel ritrarla.

«Ivi scoperse Lionardo le ragioni de' lumi e delle ombre. Ivi apprese le attitudini diverse, le varie funzioni de' muscoli e le diverse loro situazioni negli accidenti e ne' movimenti, che caratterizzano le passioni».

Durante la residenza milanese, si appassionò allo studio dell’anatomia, incoraggiato dal rettore dell’Università di Pavia, Marcantonio Della Torre. Si adoperò nel realizzare un cavallo di bronzo «di prodigiosa grandezza» per il duca di Milano, «ne fece indi il modello, che riuscì tanto smisurato, che mai non si mise più in esecuzione forse per la terribile difficoltà di gettarlo di un pezzo solo».

Colla caduta del Moro, si concluse l’attività dell’accademia, che Leonardo aveva improntato; decise quindi di rimpatriare, dove i frati de’ Servi gli commissionarono la pala d’altare per la basilica della Santissima Annunziata. Egli disegnò il cartone rappresentante la Vergine, Cristo, sant’Anna e San Giovanni; quindi lo inviò a Francesco I, ma rimase incompiuto. Si voltò quindi al Ritratto di Ginevra de’ Benci (1474 ca.) (al National Gallery of Art, Washington), «fanciulla Fiorentina di famosa bellezza, che fu anche dipinta da Domenico del Ghirlandaio (2)».

Leonardo - Ritratto di Ginevra de' Benci (National Gallery of Art, Washington)

 

Quindi il capolavoro di Monna Lisa (1503 – ’06), moglie di Francesco del Giocondo, «il qual ritratto volgarmente chiamato la Gioconda di Lionardo».

Leonardo - Monna Lisa (Louvre, Parigi)

 «Narra il Vasari che Lionardo, dopo aver penato sopra detto ritratto quattro anni interi, lo lasciò nulladimeno imperfetto. Il Lomazzo però lo dà per opera finitissima; e il signor Mariette, il quale è intelligentissimo di pittura e ch'ebbe l'agio di contemplarlo ed esaminarlo minutamente dice che in genere di finito non si può andar più oltre». Le cronache raccontano che Leonardo dipingesse la Monna Lisa attorniato da artisti e cantanti, perché tenessero allegra la dipinta.

Leonardo - Battaglia di Anghiari (Gran Sala del Consiglio, Palazzo Vecchio, Firenze)

La fama delle opere, composte da Leonardo in Italia, si propagò in Francia, tantoché ricevette diverse commissioni. La città di Firenze non volle privarsi del genio di Leonardo, sicché il gonfaloniere Pietro Soderini gli commise la Gran Sala del Consiglio, (La battaglia di Anghiari, 1503 – ‘04), «fabbricata di nuovo col parere anche di lui». Raffaello abbandonò la scuola del Perugino, avvicinandosi prepotentemente all’arte di Leonardo.

«Non senza grande suo profitto fu egli spettatore delle contese insorte tra Lionardo e Michelangelo, contese dico che cagionarono perpetua inimicizia fra que' due primarj maestri». Operò un quadro per Baldassarre Turini da Pescia, in cui ritrasse la Vergine con Gesù in braccio.

Creato pontefice Leone X De Medici, Leonardo si portò in Roma, dove operava Michelangelo, «ch'era allora nel vigore dell'età sua. Per la qual cosa Lionardo, già vecchio di settanta anni e annojato di tutte le gare, prese il partito di abbandonare Roma e l’Italia e di aderire alle istanze onorevoli, che gli venivano fatte da Francesco I, per trarlo in Francia al suo servigio». Fu accolto molto festosamente e trattato con molto garbo, fin quando cadde ammalato.

«Per ultimo un giorno all'arrivo del re, alzatosi Lionardo per dovuta riverenza a sedere sul letto, mentre stava narrandogli il suo male, fu sorpreso dall'estremo mortale parosismo e svenne. Fecesi tosto l’amorevole monarca a soccorrerlo e sostenendo colle proprie mani la testa al moribondo artefice, lo vide spirare con indicibile dolore fra le braccia».

Morì il 2 maggio 1519, all’età di 67 anni.

 

Articoli d’arte

«Alessandro Filipepi detto Sandro Botticelli, pittore fiorentino» secondo «Le notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci (1770)

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«Andrea Del Verrocchio, pittore, scultore ed architetto fiorentino» secondo le testimonianze di Filippo Baldinucci

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«Andrea Mantegna, pittor padovano» dalle «Notizie de’ professori del disegno» di Filippo Baldinucci

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«Antonio del Pollaiolo», pittore, scultore ed architetto fiorentino nelle testimonianze di Filippo Baldinucci

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«Domenico del Ghirlandaio, pittore fiorentino», nelle memorie di Filippo Baldinucci

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