venerdì 10 settembre 2021

Dante: la fine

 


Il 9 novembre del 1315, una quarta ed ultima condanna, in Firenze, fu emessa a favore di Dante da parte del vicario del re, Raniero Zaccaria, che confermò la condanna a morte e la confisca e conseguente distruzione di tutti i beni del Poeta. Anche i suoi figli sarebbero stato decapitati, qualora fossero stati rintracciati nel dominio fiorentino.

All’inizio del 1316, cacciato Uguccione da Pisa, diventata guelfa sotto Gaddo della Gherardesca, si stipulò la pace il 12 maggio 1317, che interessò la maggior parte delle città toscane. In occasione della festa di S. Giovanni, i reggitori di Firenze ammisero alcuni fuoriusciti, ai quali sarebbero state imposte delle condizioni. Alcuni parenti pregarono Dante di accettare, ma egli rispose:

«Dalle lettere vostre, reverentemente ed affettuosamente come si doveva da me ricevute, io ho con gratitudine e diligente considerazione inteso, quanto vi stia in cuore il pensiero del mio ripatriamento. E a voi tanto più strettamente m'avete con ciò obbligato, quanto più rara sorte è agli esuli il trovare amici. Ma al contenuto di quella lettera io rispondo; e se non forse nel modo che sarebbe voluto dalla pusillanimità di taluni, chiedovi affettuosamente, che, prima di giudicarne, voi esaminiate in vostro consiglio la mia risposta. Ecco, dunque, che per lettere del vostro e mio nipote, e di parecchi altri miei amici, mi è significato che, per un ordinamento testé fatto in Firenze sull'assoluzione degli sbanditi, se io volessi pagare certa somma di denari e patir la taccia della offerta, potrei esser assolto e tornare subitamente. Nel che, per vero dire, son due cose da ridere, e mal consigliate da coloro che tutto ciò espressero; imperciocché le vostre lettere, con più discretezza e forse: di voi e del mio nipote. O miglior consiglio formulate (clausulatae), non contengono nulla di tale. Ed è ella questa quella rivocazione gloriosa, con che Dante Allagherio è richiamato alla patria, dopo quasi tre lustri di esilio sofferto? Questo ha meritato una innocenza patente a tutti, qualunque sieno? Questo, il sudore e la fatica continovata nello studio?Lungi stia da un uomo famigliare della filosofia, una così temeraria e terrena bassezza di cuore, da lasciarsi, quasi legato, e a modo quasi di un Ciolo e d'altri infami, offerire! Lungi da un uomo predicante giustizia, contare, dopo aver patita ingiustizia, a coloro che gliel'han fatta, il proprio danaro! Non è questa la via di tornare alla patria, o padre mio. Un'altra se ne troverà o da voi, o col tempo da altri, la quale non deroghi alla fama, non all'onore di Dante. Quella accetterò io, con passi non lenti. Che se per niuna tal via in Firenze non s'entra, non mai entrerò io in Firenze. E che? non vedrò io onde che sia gli specchi del sole e degli astri? Non potrò io speculare dolcissime verità sotto il cielo dovunque, senza prima arrendermi, nudato di gloria, anzi con ignominia, al popolo fiorentino? Nè il pane mi mancherà...»

Probabilmente codesta lettera fu scritta sul principio del 1317 durante il soggiorno veronese, che terminò l’anno venturo, per spostarsi nel monastero di Fonte Avellana presso Gubbio, dove avrebbe dettato cinque Canti, dopo il Ventesimo, del Paradiso. Si spostò poi nel castello di Colmollaro dell’amico e commentatore della Commedia, Bosone de’ Raffaelli, di nobile schiatta ed assai potente in città. Il Poeta lo conobbe nel 1300 in Arezzo, poiché il babbo era stato podestà della città molti anni prima; nel 1311, forse per volontà di Enrico VII di Lussemburgo, rimpatriò in Gubbio. Morto nel 1313 il suo protettore, la famiglia fu nuovamente cacciata da Gubbio, che riparò in Arezzo, dove Bosone fu podestà dal settembre del 1316 al marzo del 1317 per poi passare al comune di Viterbo.

Dante fu successivamente ospite ad Udine di Pagano della Torre, «signore magnanimo e prudente, grande protettore di dotti; appresso il quale ricoverò Dante Alighieri fiorentino, poeta e filosofo celebratissimo, fuoruscito per le fazioni de' Neri et Bianchi. Con il qual signore, con molta sattisfazione, egli dimorò per buon tempo, et con lui frequentò sovente la bella contrada di Tolmino, castello situato ne' monti sopra Cividale del Friuli miglia XXX; […] si crede che Dante scrivesse a compiacenza di Pagano alcune parti delle sue cantiche, per haver i luochi in esse descritti molta correspondenza con questi1».

Infine, l’ultimo soggiorno a Ravenna, di cui non sappiamo con certezza quando ebbe inizio. Commentò il Boccaccio:

«Era in quel tempo signor di Ravenna, famosissima e antica città di Romagna, un nobile cavaliere il cui nome era Guido Novello da Polenta; il quale ne' liberali studi ammaestrato sommamente i valorosi uomini onorava, e massime quelli che per iscienza gli altri avanzavano. Alle cui orecchie venuto, Dante fuori d'ogni speranza essere in Romagna, avendo egli lungo tempo avanti per fama conosciuto il suo valore, in tanta disperazione si dispose di riceverlo e d'onorarlo; né aspettò da lui di ciò esser richiesto». Ma avendolo invitato, Dante accettò e si trasferì a Ravenna, «dove onorevolmente dal signor di quella ricevuto, e con piacevoli conforti risuscitata la caduta speranza, copiosamente le cose opportune donandoli, in quella seco per più anni il tenne, anzi sino all'ultimo della vita sua2».

Ritrovò la sorella del suo antico amico Uguccione, Giovanna della Faggiola, vedova di Saladino degli Onesti, con le figlie Catalina ed Agnesina. Il Poeta si dedicò alla traduzione dei sette Salmi penitenziali, del Credo, Peter noster, Ave Maria e dei Dieci comandamenti, nell’imitazione dell’amato Virgilio.

Giovanni Villani3 indicò che Dante fu inviato dai Polenta a Venezia e, rincasato, «poiché la sua ora venne segnata a ciascheduno, essendo egli già nel mezzo, o presso, del cinquantesimosesto suo anno, infermato e, secondo la religione cristiana, ogni ecclesiastico sacramento umilemente e con divozione ricevuto; e a Dio, per contrizione di ogni cosa commessa da lui contro al volere suo, siccome da uomo, riconciliatosi; del mese di settembre, negli anni di Cristo 1321 (nel dì che la esaltazione della santa Croce si celebra dalla Chiesa, 14, settembre), non senza grandissimo dolore del sopra detto Guido, e generalmente di tutti i cittadini ravegnani, al suo Creatore rendé il faticato spirito. Il quale, niuno dubbio è che ricevuto non fusse nelle braccia della sua nobilissima Beatrice, colla quale nel cospetto di Colui ch'è sommo bene, lasciate le miserie della presente vita, ora lietissimamente vive in quella feli- cità, a cui fine giammai non si aspetta2

Fu sepolto con indosso l’abito di terziario francescano. E così morì un uomo, infelice sin dalla gioventù per amore, per la lontananza dalla città natale; condannato, perseguitato, esule, sicuramente povero, ma per ciò non perdé la fede in Dio, verso il quale elevò il suo canto.

 

(1) GIACOMO VALVASSONI. Sommario della vita dei Quattro Patriarchi di casa Della Torre; pubblicato dal Fea.

(2) GIOVANNI BOCCACCIO. Vita di Dante.

(3) GIOVANNI VILLANI. Nuova cronica.

 

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ARTICOLI SU GABRIELE D’ANNUNZIO

Alla prima de «Il ferro» di Gabriele D’Annunzio presso il Teatro Carignano di Torino

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Alla prova generale de «La Pisanelle» di Gabriele D’Annunzio

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La impresa di Fiume nell’analisi della stampa dell’epoca

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«La Pisanelle» di Gabriele D’Annunzio nelle critiche dei giornali parigini dell’epoca

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Una visita a Gabriele D’Annunzio. Il Poeta nella solitudine del suo studio

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DAL «VIAGGIO IN ITALIA» DI JOHANN WOLFGANG GOETHE

Johann Wolfgang Goethe da «Il viaggio in Italia». Novembre 1776: Roma

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Johann Wolfgang Goethe: «Il viaggio in Italia». Dicembre 1786, Gennaio 1787: Roma

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Johann Wolfgang Goethe: «Il viaggio in Italia». Febbraio 1787: Roma

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Dal «Viaggio in Italia»: Johann Wolfgang Goethe verso Napoli

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Dal «Viaggio in Italia» di Johann Wolfgang Goethe: Napoli

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LA VITA DI CARLO GOLDONI

Carlo Goldoni: gli inizi

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Carlo Goldoni: l’incontro con la compagnia di De Maccheroni

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Carlo Goldoni: praticante provetto

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GUIDO GUINIZZELLI

«Dolente lasso» di Guido Guinizzelli

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«Lo vostro bel saluto» di Guido Guinizelli

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«Vedut’ho la lucente stella diana» di Guido Guinizzelli

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LA VITA DI GIACOMO LEOPARDI

L’infanzia di Giacomo Leopardi

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Il traduttore

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La cattività in Recanati

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ARTICOLI SU GIACOMO LEOPARDI

Breve commento a «Il passero solitario» di Giacomo Leopardi

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Breve commento a «Il primo amore» di Giacomo Leopardi

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Breve commento a «La sera del dì di festa» di Giacomo Leopardi

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Breve commento dell’idillio «Alla luna» di Giacomo Leopardi

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Le donne nella vita di Giacomo Leopardi: Adelaide Antici

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Le donne nella vita di Giacomo Leopardi: Paolina Ranieri

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La donna nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Paolina Leopardi

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Le donne nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Teresa Carniani Malvezzi

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I LIBRETTI DI PIETRO METASTASIO

“Achille in Sciro” di Pietro Metastasio

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“Alessandro nelle Indie” di Pietro Metastasio

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«Didone abbandonata» di Pietro Metastasio

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ARTICOLI SU PIER PAOLO PASOLINI

Il poetico «Teorema» di Pier Paolo Pasolini

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Intervista a Pier Paolo Pasolini

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Pasolini denunciato da un distributore

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Pasolini e la televisione

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Pasolini moralista cercava lo scandalo

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«Siamo tutti in pericolo». L’ultima intervista a Pier Paolo Pasolini

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LE LETTERE DI GIUSEPPE UNGARETTI A BRUNA BIANCO

«Sento sempre la Tua voce. E cerco con gli occhi il tuo viso». Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 15 settembre 1966

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«Io Ti amerò sempre, come un’incredibile apparizione, come una sublime generosità» Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 23 ottobre 1966.

https://ale0310.blogspot.com/2021/06/io-ti-amero-sempre-come-unincredibile.html

«Il tuo ricordo, e domani ancora la tua presenza?» Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 26 ottobre 1966.

https://ale0310.blogspot.com/2021/07/il-tuo-ricordo-e-domani-ancora-la-tua.html

«Ho tante cose da dirti. Hai tante cose da dirmi». Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 27 ottobre 1966.

https://ale0310.blogspot.com/2021/08/ho-tante-cose-da-dirti-hai-tante-cose.html

«Non ho altro conforto se non questo di vivere di continuo con Te». Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 29 ottobre 1966

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«Il solo modo per rompere la mia solitudine, è stare con Te, amarti, mia Poesia, mia Luce, Anima mia» Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 3 novembre 1966

https://ale0310.blogspot.com/2021/09/il-solo-modo-per-rompere-la-mia.html

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