sabato 23 ottobre 2021

Ermete Trismegisto nel pensiero rinascimentale

 


Il pensiero rinascimentale guardò al passato. Concepì la ciclicità del tempo come riflesso dell’antica età dell’oro, laddove si rivelava la Verità da ricercare. Attraverso il recupero della letteratura e lo studio dei monumenti dell’antichità classica, l’umanista si sarebbe incamminato verso quell’agognata condizione principiale. Anche la Chiesa, nelle sue aperture maggiormente riformiste, si dedicava allo studio delle Scritture e dei primi Padri, al fine di recuperare il significato autentico della Parola di Dio.

In realtà, la ricerca dell’umanista si ancorò alle pubblicazioni del II e III secolo d. C., periodo determinante l’ambiente pagano del Cristianesimo primitivo, imbevuto d’influenze magiche ed orientali, che aveva costituito la versione gnostica della filosofia greca.

Thot
Il dio egiziano Toth fu identificato con Ermete, il «tre volte grande», che, secondo Cicerone, era stato costretto a rifugiarsi in Egitto, dopo aver ucciso Argo, per edificare leggi e lettere ad usum popoli. Ad Ermete Trismegisto fu quindi attribuita un’ampia letteratura d’argomento astrologico, occulto, magico ed infine filosofico, con l’Asclepius ed il Corpus Hermeticum, databili tra il I ed il III secolo d. C., in cui sono raccolte alcune credenze egiziane originali. Sentenziò Morton W. Bloomfield nel The Seven Deadly Sins:

«Questi scritti sono principalmente il prodotto di neoplatonici egiziani profondamente influenzati da stoicismo, giudaismo, teologia persiana e probabilmente da credenze egiziane indigene, oltre che, naturalmente, da Platone, e in particolare dal Timeo. Essi costituivano forse la bibbia di una religione misterica egiziana che nel suo nucleo essenziale risaliva probabilmente al II secolo a. C.».

Probabilmente gli autori furono d’origine greca e non egiziana, che mischiarono filosofia popolare, platonismo e stoicismo con influenze ebraiche e forse persiane.

Apuleio (125 ca. - 170 ca.)
Nell’Asclepius, pervenuto nella traduzione latina attribuita ad Apuleio di Madaura, s’illustra il metodo, in uso presso gli Egizi, per trasfondere la potenza negli dei nelle statue.

Il Pimander ricostruisce la nascita dell’universo in quindici dialoghi ermetici su imitazione del Genesi.

Altri trattati illustrarono l’ascesa degli anima verso il Principio, unitamente alla metodologia d’adottare, al fine di sciogliere l’anima dalle catene fisiche, rafforzandosi nei poteri divini.

Nel II secolo d. C. la pax romana regnava sull’Impero, ben organizzato burocraticamente. Le classi colte, formate alla cultura greco – romana basata sulle sette arti liberali, sentivano la necessità di superare le barriere filosofiche elleniche, al fine di conoscere davvero la realtà e quindi trovare sufficienti risposte, per ciò si votarono all’intuizione, al misticismo, alla magia, proponendo l’emarginazione della ricerca logica nella coltivazione del νοῦς.  La base filosofica avrebbe funto da principio per una conoscenza intuitiva del divino e del significato del mondo, seguendo una ferrea disciplina ascetica ed un comportamento religioso austero. Nei trattati ermetici, il dialogo tra maestro e discepolo scivolava verso l’illuminazione dell’adepto, che si inebriava alla fine in un inno di lode. Grazie alla contemplazione del mondo e del cosmo, inteso quale riflesso del νοῦς, egli giunge alla dominazione spirituale, così come avviene nell’esperienza gnostica, dove l’anima ascende al divino. Assistiamo alla nascita di una nuova religione, che non prevede né templi, né liturgia, praticata nella solitudine della mente, che si rivela nella gnosi.

Gli uomini del II secolo, così come gli eredi rinascimentali, confidavano che nell’antichità si preservasse la purezza, grazie alla conoscenza dei filosofi certamente superiore ad ogni sforzo razionalistico teso all’incontro col divino. Tutto ciò che proveniva dal lontano passato, sembrava possedesse maggior santità: dalla magia persiana, all’astrologia caldea, maggiormente religiosa rispetto a quella dei Greci. Particolarmente ricercate furono le esperienze mistiche egiziane colla frequentazione dei templi da parte del mondo greco – romano, composto in pellegrinaggi nei templi egiziani alla ricerca di chissà quali verità invelate, convinti di seguire gli antichi filosofi greci, ch’erano giunti alla foce del Nilo, al fine di ricevere degl’insegnamenti segreti.

Il mondo egiziano è perfettamente riflesso nell’Asclepius ermetico colle descrizioni rituali e magiche, con cui i sacerdoti animavano le statue degli dei:

«In quel momento, stanchi della vita, gli uomini non considereranno più il mondo come degno oggetto della loro ammirazione e del loro rispetto. Questo Tutto, la miglior cosa che esista, l’ottima fra tutte le cose del passato, del presente e del futuro, rischierà di perire; gli uomini lo considereranno un fardello inutile e di conseguenza questa totalità dell’universo verrà disprezzata e non più venerata, questa incomparabile creazione divina, questa costruzione mirabile, questa ottima creazione costituita, da una infinita diversità di forme, strumento della volontà di Dio il quale, senza invidia, elargisce la sua grazia a tutta la creazione, in cui è riunito in un tutto unico, in una diversità armoniosa tutto ciò che o degno di reverenza, lode e amore1».

Gli scritti ermetici agirono sulla figura dell’umanista, che si convinse di poter disporre di documenti preziosi e rivelatrici di un’antichissima sapienza. Ermete Trismegisto diventò una persona reale, un sacerdote egiziano vissuto in un’epoca antica imprecisata, poiché confermata da autorevolissimi scrittori come Agostino e Lattanzio, il quale nelle Institutiones scrisse:

«Benché Ermete fosse solo un uomo, era tuttavia di grande antichità e perfettamente dotato di ogni specie di sapere; cosicché la conoscenza di molti argomenti e di molte arti gli procurò il nome di Trismegisto. Egli scrisse libri in gran numero, riguardanti la conoscenza delle cose divine, in cui rivendica la maestà del supremo ed unico Dio e ne fa menzione sotto gli stessi nomi che usiamo noi: Dio e Padre».

Egli indicava che Ermete avesse riferito, come successivamente i Cristiani, al concetto di Dio l’appellativo di Padre, e di Figlio di Dio – Demiurgo. L’assonanza interpretativa colla nascente religione cristiana è evidente anche ne La parola perfetta di Ermete:

«Il Signore e Creatore di tutte le cose, che abbiamo a buon diritto chiamato Dio, dopo che ebbe creato il secondo Dio, visibile e sensibile. Dopo averlo, dunque, creato per primo, solo, e unico, questi Gli apparve bello e ricolmo di ogni bene; allora Egli lo santificò e lo amò in tutto come Suo figlio2».

Egli vorrebbe così intendere che nell’Asclepius, come nel Pimander, si potesse trovare un’anticipazione della venuta del Figlio di Dio e si trovi il concetto di λόγος , quale Parola creatrice.

Ermete è quindi considerato da Lattanzio un importante autore, anticipatore dei concetti del Cristianesimo.

Agostino d'Ippona (354 - 430)
Agostino presentò nel De civitate Dei una dura condanna nei riguardi dell’«Ermete l’Egiziano, detto Trismegisto», per ciò ch’egli aveva indicato quale pratica magica, per generare divinamente le statue degli dei, scagliandosi anche contro la magia in generale, sotto cui si celavano i daemones.

Agostino attinse alla traduzione latina dell’Asclepius, operata nel II secolo da Apuleio di Madaura, formatosi al mondo greco – romano, che s’ispirò alle scienze occulte, in particolare alle egiziane. Educato a Cartagine ed Atene, Apuleio viaggiò in Egitto, dove fu accusato di pratiche magiche. Scrisse le Metamorfosi, o Asinus aureus, in cui il protagonista è trasformato attraverso un sortilegio in asino e, dopo aver patito molte sofferenze, torna nelle sue antiche sembianze, grazie alla visione della dea Iside, cui si lega quale sacerdote.

Le opinioni accusatrici sul pensiero di Ermete posero in difficoltà molti devoti rinascimentali degli scritti ermetici, i quali tentarono una labile difesa, attribuendo alcune frasi contestate da Agostino al traduttore Apuleio, perché l’Asclepius non perdesse la magica attrazione per gli studiosi.

Giordano Bruno (1548 - 1600)
Giordano Bruno attaccò Agostino, ritenendo la religione egiziana la più antica manifestazione ierofanica del mondo, successivamente corrotta dall’avvento del Giudaismo e del Cristianesimo.

Nel De Civitade Dei, Agostino torna a parlare di Ermete: «il quale visse molto prima dei saggi e dei filosofi greci ma dopo Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe ed anche Mosè; che nel tempo in cui nacque Mosè viveva Atlante, un grande astronomo, fratello di Prometeo, ed egli era nonno, da parte di madre, di Mercurio il Vecchio che generò il padre di questo Trismegisto».

Clemente Alessandrino (150 - 215)
Ulteriori particolari affiorarono con altri scrittori cristiani quali Clemente Alessandrino, il quale raccontava nei Testimonia che le processioni egiziani erano condotte da un cantore, che intonava degli inni composti da Ermete.

Precisò che fu autore di quarantadue libri, di cui trentasei riguardanti solo la filosofia egiziani ed i rimanenti la medicina3. Così gli umanisti immaginarono di possedere parte di quei libri, descritti da Clemente nell’Asclepius e nel Corpus Hermeticum.

Intorno al 1460, dalla Macedonia fu portato da un monaco a Firenze un manoscritto greco, che conteneva parte del Corpus Hermeticum, che sarebbe poi stato tradotto da Marsilio Ficino per ordine di Cosimo De Medici.

Marsilio Ficino (1433 - 1499)
 Il filosofo allora dovette abbandonare la traduzione delle opere di Platone, per dedicarsi esclusivamente ad Ermete, ritenuto di reputazione assai maggiore del filosofo greco: l’Egitto precedeva l’antica Grecia. Dette così il titolo Pimander all’intero Corpus Hermeticum, dedicandolo a Cosimo.

Cosimo De Medici (1389 - 1464)
Tradusse che Mercurio – come scrisse Cicerone –, sacerdote egiziano, indicò le leggi e le lettere al popolo, dimostrandosi il più saggio, eccelso come filosofo grazie alla vasta conoscenza, morigerato come sacerdote e devoto alla pratica dei culti divini, per cui fu nominato «Termaximus», cioè il «tre volte grande». Fu il primo dottore di teologia, cui successe Orfeo, quindi Pitagora, il cui allievo, Filolao, sarebbe stato il maestro di Platone, immaginando così un filo sapienziale, che lega Ermete al più grande tra i filosofi. Quindi Ficino delinea una genealogia di sapienti, menzionando quale iniziatore Ermete Trismegisto, fons et origo. Mercurio avrebbe scritto molti libri riguardanti la rivelazione dei misteri arcani: previde la rovina dell’antica religione,  la nascita di una fede nuova e l’avvento di Cristo. Ficino sentenziò che il Pimander, da lui tradotto in lingua latina, fosse originariamente scritto in egiziano e quindi in greco, per rivelare l’arcano della civiltà del Nilo. Concluse affermando che nell’opera splendesse una luce di divina illuminazione, da ricercare al di sopra degl’inganni dei sensi, rivolgendosi alla nostra mente, per ascoltare le sensazioni della Mente divina (Pimandro) e quindi contemplare l’Ordo Dei.

I contemporanei accettarono con entusiasmo le tesi espresse nel Pimander, nella traduzione latina del Ficino, che fu stampata nel 1471 ed editato fino al XVI secolo.

L’interesse per la magia nel Rinascimento fu causata dalle influenze letterarie bizantine ed in particolare la figura di Ermete funse da promotore di una vera rinascita.

 

(1) Corpus Hermeticum II.

(2) Lattanzio, nelle Divinae institutiones, IV, 6; cita Asclepius, Corpus Hermeticum II

(3) Clemente Alessandrino, Stromata, VI,

 

 

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