lunedì 11 ottobre 2021

Il mito di Filemone e Bauci nelle «Metamorfosi» di Ovidio

 

Sui colli della Frigia, Giove, ed Ermes, nipote di Atlante, in aspetto umano cercavano inutilmente ospitalità presso le case del villaggio. Dopo tanto ed inutile bussare, furono accolti in una piccola capanna, dove abitavano l’anziana Bauci ed il coetaneo marito Filemone, che vivevano da sempre in rassegnata ma onorevole povertà. Gli dei furono costretti a chinare il capo, per entrare nell’angusta abitazione, tanto la porta era minuscola. Quando furono in casa, Filemone offrì loro una panca e Bauci vi pose sopra un ruvido panno, poi si diresse verso il camino, per smuovere la cenere intiepidita, scaturendo un poco di calore.

Quindi prese delle scaglie di legno e dei rametti secchi, per spezzarli sotto un piccolo recipiente di rame, entro cui depositò dei legumi, che erano stati precedentemente raccolti dal marito nell’orto. Filemone intanto staccava la spalla affumicata da un suino, appeso ad una trave, per consegnarla nelle mani della moglie, Bauci, perché la lessasse in acqua bollente.

In attesa che la cena fosse pronta, Filemone prese una tinozza, la riempì d’acqua, perché gli ospiti immergessero i loro piedi, al fine di ristorarli dopo il lungo girovagare, preparando un giaciglio composto di erba morbida di fiume. Gli dei si ristorarono, mentre Bauci stava preparando la tavola, con delle olive verdi e nere, sacre a Minerva, corniole autunnali aromatizzate col vino, indivia, radicchio, del formaggio e uova cotte nella cenere.

Appena terminato, Bauci portò della frutta: noci, fichi secchi, datteri, prugne, mele, uva, quando i due anziani padroni di casa si accorgono che il boccale del vino, una volta usato, tornava ad essere colmo fino all’orlo. I due allora, turbati da simile prodigio, si misero a pregare, chiedendo scusa per la povertà del desco, cosicché decisero, a malincuore, di sacrificare l’unica oca, che possedevano, per gli ospiti, i quali proibirono loro che compissero l’atto.

Finalmente gli Dei si dichiararono. L’invitarono ad abbandonare la casa, per seguirli in cima al mone.

Peter Paul Rubens - Paesaggio con Filemone e Bauci (Kunsthistorisches Musem di Vienna)

 

Con fatica, i due anziani raggiunsero la meta e, voltandosi, notarono con immensa sorpresa come, alle loro spalle, l’acqua stava distruggendo le case ad eccezione della loro, che lentamente si stava trasformando in un tempio; quindi Giove chiese d’esprimere un desiderio. I due anziani chiesero di essere iniziati quali sacerdoti e custodi del tempio e di morire nel medesimo istante. Gli dei acconsentirono.

Dopo tanti anni, i due anziani, mentre si trovavano sulle scale del Tempio, si videro, un poco alla volta, coperti di fronde; capirono ch’era giunto il sacro momento e continuarono a scambiarsi vicendevolmente frasi d’amore, finché le fronde raggiunsero il loro volto.

La fabula racconta la preminenza degli affetti, e quindi dell’essere, nell’ambito rapporti umani. Oggi siamo quasi tutti interpreti dell’avere; non consideriamo quindi la persona per ciò che è, per le sue qualità interiori ed impalpabili ma potentissime perché umane, ma per ciò che ha, che per sua natura è soggetto all’implacabile muoversi del vento ed alla dispersione ed al contrario consta di notevoli sforzi per la conservazione. I due anziani non si preoccupano ad ospitare nella loro angusta abitazione degli estranei; non misurano loro certo l’apparenza. Immaginano la stanchezza dei viandanti ed allora preparano le loro stanze all’accoglienza.

Sono giustamente ricompensati dai due Dei, i quali salvano la vita agli anziani coniugi e soprattutto la loro casa, mentre tutto il villaggio annega spaventosamente tra la pena ed il dispiacere dei due protagonisti, che guardano atterriti al terribile spettacolo.

E’ una fabula sull’essere. Infatti, quando la calma sembra regnare nel villaggio, ormai sepolto, solo la casa dei due coniugi è rimasta in piedi, trasformata in un tempio ed i protagonisti non chiedono onori, ma continuare ad essere ciò che sono. Erano, in fondo, anche dei guardiani della loro casa; ebbene siano guardiani del nuovo tempio. E poi morire insieme, perché l’uno non senta la mancanza dell’altro. Essi vivono compiutamente il mito dell’androgino: la perfetta comunione tra la parte razionale e quella liquida, le quali sono indivisibili, quindi allo scomparire dell’una, seguirà lo scomparire dell’alto.

Essere per trasformarsi in essere.

 

Dalle «Metamorfosi» di Ovidio

«In principio»

https://alessandrodiadamo.wordpress.com/2020/11/30/in-principio-nel-racconto-delle-metamorfosi-di-ovidio/

Il mito di Cadmo

https://alessandrodiadamo.wordpress.com/2021/03/10/il-mito-di-cadmo-dalle-metamorfosi-di-ovidio/

Il mito di Ermafrodito

https://alessandrodiadamo.wordpress.com/2021/05/27/il-mito-di-ermafrodito-dalle-metamorfosi-di-ovidio/

Il mito di Fetonte

https://alessandrodiadamo.wordpress.com/2021/01/30/il-mito-di-fetonte-nel-racconto-delle-metamorfosi-di-ovidio/

Il mito di Icaro

https://ale0310.blogspot.com/2021/09/il-mito-di-icaro-dalle-metamorfosi-di.html

Il mito di Io

https://alessandrodiadamo.wordpress.com/2021/01/14/il-mito-di-io-nel-racconto-delle-metamorfosi-di-ovidio/

Il mito di Narciso

https://alessandrodiadamo.wordpress.com/2021/05/03/il-mito-di-narciso-dalle-metamorfosi-di-ovidio/

Il mito di Proserpina

https://ale0310.blogspot.com/2021/06/il-mito-di-proserpina-dalle-metamorfosi.html

 

 

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